ROMA – Scozia secessione: che succede ai soldi loro (sterlina) e ai tuoi (euro). Il 18 settembre i cittadini di Scozia (compresi i 16enni e gli stranieri residenti ma non gli scozzesi all’estero) saranno chiamati a decidere sull’indipendenza da Londra (cioè dalla Gran Bretagna, ma non dal Regno Unito perché al momento la monarchia non è sotto scrutinio). Vincesse il sì la Scozia sarà indipendente. Un referendum del tutto legale (non lo è quello chiesto dai catalani) che avrà enormi ripercussioni anche sull’assetto economico interno (il destino della valuta) ed effetti esterni (l’euro).
Che succede alla Gran Bretagna. In realtà, il solo annuncio e il sorprendente vantaggio dei secessionisti nei sondaggi (51%) ha già esposto la sterlina a incertezza e volatilità deprezzandosi velocemente (scenario che avrà il picco un momento prima del voto e subito dopo l’eventuale vittoria del sì. Londra, in questo caso, perderebbe un terzo del suo territorio, l’8% della popolazione, un decimo dell’economia, l’8,2% di entrate fiscali (al netto del petrolio).
Si stima che il deficit commerciale sul Pil del nuovo Regno Unito senza Scozia aumenterebbe del 2/3%. Aumenterebbe anche il debito pubblico e la spesa pensionistica (gli scozzesi sono meno sani e muoiono prima, un problema anche per la sostenibilità della Nuova Scozia del suo sistema previdenziale visto che diminuirebbe il rapporto lavoratori/pensionati per la bassa natalità). Separare la contabilità dei rispettivi debiti pubblici sarebbe difficile e lungo: il precedente tra Slovacchia e Repubblica Ceca dice non meno di sette anni di negoziati.
Quale moneta? Quattro scenari. Secondo gli auspici dello Scottish National Party (Snp) la valuta preferibile sarebbe la sterlina: due opzioni, o in un’area monetaria come quella dell’euro, o in via informale come per esempio viene usato l’euro in Kosovo. Terza possibilità scegliere l’euro, quarta una nuova valuta propria. La prima ipotesi, l’area sterlina, sconta innanzi tutto la contrarietà di Londra anche per motivi di pressione politica nei confronti degli indipendentisti (che minacciano di non farsi carico dei debiti britannici se Londra rifiuta). Controindicazione: le decisioni di politica monetaria verrebbero prese a Londra.
La sterlina utilizzata in via informale esporrebbe la Nuova Scozia a rischi enormi, perché senza la Banca d’Inghilterra quale prestatrice di ultima istanza le banche si trasferirebbero in massa a sud. L’adozione dell’euro potrebbe rivelarsi la soluzione più plausibile nel breve periodo ma una battuta che circola è illuminante: perché partecipare a una festa quando questa sta finendo? Chiaro che con l’euro arriverebbero anche i vincoli europei. La soluzione migliore, ma sempre in via ipotetica, sarebbe una valuta propria: una moneta debole, esposta alla speculazione, con alti rischi di inflazione ma uno strumento formidabile per l’export (ancora troppo debole).
Quali ripercussioni sull’euro? Una vittoria scozzese incentiverebbe le spinte secessioniste: subito Irlanda del Nord e Galles dal Regno Unito, in prospettiva il fronte anti-euro, Le Pen in testa, che se si votasse oggi in Francia vincerebbe a man bassa le elezioni. In Italia, va ricordato, l’uscita dall’euro, cioè una violazione di un trattato, non è materia referendaria, sancisce la Costituzione. In termini economici, l’euro si apprezzerebbe rispetto alla sterlina (i titoli di Stato italiani sarebbero più sicuri, ma sull’export ci perderebbe l’area euro). In ogni caso, la recrudescenza di spinte anti-euro esporrebbe l’eurozona all’instabilità politica, primo ostacolo alla fiducia dei mercati internazionali.
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