Belpietro: attentatore fantasma o attentato miraggio? Cinque domande

maurizio belpietro
Maurizio Belpietro

Attentatore fantasma o attentato miraggio? Nessuno lo dice esplicitamente ma va trovato il coraggio di dirlo che questo è il dubbio. Solo un dubbio, per carità. Tutti ci girano intorno, è il caso di fermarsi al centro del dubbio. Dubbio su cosa è successo davanti all’abitazione di Maurizio Belpietro, direttore di Libero. Premessa d’obbligo, assolutamente sincera: il clima di violenza politica c’è e la madre degli estremisti violenti è sempre incinta. Dunque attentati e attentatori ci possono essere davvero: la “cultura” dello zittire con ogni mezzo i simboli e gli uomini del campo avverso ha i suoi orti e le sue serre, ben coltivati e mai estirpati anche a sinistra.

Seconda premessa, necessaria per non essere fraintesi: le domande che seguiranno sono legate e conseguenti allo stato di ciò che si sa delle indagini e dai giornali e dai resoconti e dalle testimonianze. Oggi sono domande valide, domani potrebbero essere domande superate dai fatti.

Premesse ben ficcate in testa, ecco le domande.

Prima: Il piano dell’attentatore era quello di bussare al campanello della porta di casa di Belpietro e poi ferire od uccidere? Questo è quanto è stato dichiarato e assunto come plausibile. Possibile forse, tutto è possibile. Ma plausibile mica tanto. Bussare alla porta di casa alle undici di sera? Alle undici di sera nessuno apre, figurarsi un uomo purtroppo sotto minaccia. Eppure è stato raccontato che l’attentatore è stato intercettato per caso all’ultimo pianerottolo, sull’ultima rampa di scale. Scale che stava risalendo per bussare alla porta e farsi aprire. Non dunque attentato all’androne, all’uscita, al rientro a casa. Ma attentato a domicilio a notte quasi fonda. Inedito assoluto, soprattutto inedito di fatto quasi impraticabile.

Seconda domanda: con quale criterio si era vestito o travestito l’attentatore? Chi l’ha visto, l’unico che l’ha visto racconta: pantaloni bianchi e una camicia grigia con delle mostrine come da militare sul colletto o sulle spalline. Uno si traveste da militare solo dalla cintola in su? Per non farsi notare, prima regola di un attentatore, si segnala con pantaloni bianchi che stridono con la camicia “militare”?

Terza domanda: chi spara? Dice l’unico testimone e insieme attore della vicenda che l’attentatore ha sparato, sparato per primo e contro di lui. Ma spara a vuoto perchè la pistola fa cilecca. S’inceppa la pistola al primo colpo. Può essere, certo è che di solito le pistole se si inceppano lo fanno dopo il primo colpo. Di sicuro ha sparato il testimone e attore, la guardia del corpo. Ha sparato tre volte, un professionista. Nello spazio di un pianerottolo le prime due. Dall’alto in basso su una rampa di scale la terza volta. Attentatore molto fortunato a non essere mai stato colpito. Tanto più che la guardia del corpo che spara, secondo la sua narrazione, spara non per intimidire. Spara dopo esser stato “sparato”, spara a qualcuno che gli ha sparato. Spara per salvarsi la pelle. E in questi casi si spara per colpire, almeno le prime due volte. Ma la guardia del corpo non colpisce.

Quarta domanda: dove e come fugge l’attentatore? Va bene la sua velocità nel ridiscendere quattro, tre piani. Ma poi scavalcare il muro di tre metri, atterrare sulle piante sottostanti il muro senza calpestarne una, senza spezzare una fogliolina? E nessuna telecamera inquadra nulla e nessuno. Dal portone principale non è uscito, l’altra guardia del corpo era lì davanti in auto e non ha visto nessuno. Può esser fuggito solo dal muro, sopra il muro e poi il cortile con le piante.

Quinta domanda, la più maligna. Già una volta alcuni anni fa la guardia del corpo aveva sventato un attentato e messo in fuga un attentatore di cui poi nessuno trovò traccia. Non basta certo per insinuare che la guardia del corpo si sia inventato qualcosa. Però può darsi che la guardia del corpo, che vive nel suo difficile e pericoloso lavoro, appunto il “clima” di violenza abbia vissuto un’esperienza come quelli che nel deserto non s’inventano certo un miraggio. Lo “vedono” davvero, anche se non c’è: le condizioni climatiche danno corpo e luce a quella palma o a quella carovana che non ci sono ma che pure gli occhi e la mente credono davvero di vedere.

Come che sia andata, anche il fantasma di un attentato basta e avanza per sentirsi dalla parte di Belpietro e per sentire l’irrespirabilità del clima. E anche fosse stato un attentato miraggio, i miraggi appaiono appunto perchè il clima, l’aria che tira, li rende visibili. Però farsi queste cinque domande non è peccato e ottenere qualche precisa risposta migliora e non certo peggiora il pessimo clima.

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie