ROMA – “Beppe Grillo è tornato a Sanremo, da dove l’hanno cacciato tanti anni fa, ricco e spietato come il conte di Montecristo degli sceneggiati d’antan, anche se non ha più la Ferrari come l’ultima volta”
nota Curzio Maltese su Repubblica, in una analisi del fenomeno Grillo nel contesto del Festival di Sanremo.
Sarebbe uno scenario da tragedia se, conclude Curzio Maltese, in Italia ci fosse qualcosa di serio che non si disperde e fonde nel cielo blu dipinto di blu.
In un passaggio cruciale per la storia della nazione, il capo del principale partito dell’opposizione non va al Quirinale a spiegare le proprie ragioni, ma al festival della canzone nella capitale dei fiori. Appena arrivato, spiega che non vuole i giornalisti servi del regime intorno. Infatti ha preso la macchina ed è andato in un luogo dove ce ne sono soltanto un migliaio, un po’ meno che alle Olimpiadi.
Fuori dall’Ariston l’ex comico tiene un comizio appassionato contro i soliti poteri forti e le banche che sostengono Renzi, insieme a De Benedetti e Berlusconi che si stanno spartendo il Paese eccetera.
Poi viene al dunque, che sarebbe la gestione della Rai, l’unica cosa di cui è davvero esperto, e dice anche cose interessanti e vere. La tv di Stato è una macchina clientelare di consenso partitocratico che continua a produrre deficit, il famoso manager Gubitosi, scelto dagli ottimati bocconiani, ha portato le perdite da 250 a 400 milioni all’anno, gli appalti sono una vergogna.
Si potrebbe naturalmente obiettare che tutto questo era vero anche quando Grillo era uno degli artisti più pagati della Rai e poi quando hanno appaltato a lui la prima serata di Raiuno. Ma sarebbe sciocco e impopolare. In Italia amiamo soltanto i figliol prodighi, mentre chi è coerente con le proprie idee viene generalmente considerato un antipatico imbecille.
Grillo ha fatto benissimo ad arricchirsi al tempo suo con i deficit Rai, ripianati dalle finanziarie, ed è per questo autorizzato oggi a impancarsi a moralista. Perché l’unica cosa che conta nella società dello spettacolo nazionale è il successo. Altrimenti non verrebbero tutti qua a Sanremo a esporre problemi che magari sarebbe più sensato portare nelle sedi competenti, al governo, al Parlamento, al Quirinale o all’assemblea dell’Onu, nel caso dei marò.
Da noi si denunciano i problemi non per risolverli, ma per ottenere un grande applauso. L’applauso in sé garantisce che la soluzione non sarà mai trovata, perché in questo caso la volta successiva non si potrebbe ottenere un altro applauso e di conseguenza s’incepperebbero i sacri meccanismi dell’audience. Senza contare che lo scenario di Sanremo, il festival, la capitale dei fiori [che purtroppo ormai non è più mentre anche il Casino languisce], la platea ingioiellata dell’Ariston, contribuisce a stemperare la tragedia, a sminuzzarla in tanti piccoli coriandoli colorati. Perché poi alla fine di tutto arrivano le canzoni, le belle e consolatorie strofe all’italiana. Ed è vero sì che siamo a un passo dalla catastrofe e dalla bancarotta, e contiamo sempre meno nel mondo e non ci ascoltano neppure quando abbiamo ragione, e i nostri figli non avranno lavoro e ogni venerdì un imprenditore si uccide nella Padania felix. Ma il cielo, il cielo è sempre più blu”.