Domenica verbosa domenica: Berlusconi, Casini, Bossi e il non riposo del settimo giorno

di Emiliano Condò
Pubblicato il 12 Settembre 2010 - 15:07 OLTRE 6 MESI FA

Il settimo giorno si riposò. C’era una volta una politica diversa in cui, la domenica, i democristiani andavano a messa e i comunisti leggevano tranquilli l’Unità. Oggi, invece, la politica surriscaldata dal clima di campagna elettorale latente non conosce riposo. Il tempo di svegliarsi, leggere i giornali, bere un caffè e tutti ( o quasi) i leader  incontrano le loro genti e tengono comizi dai toni che è eufemistico definire aspri.

Stamattina hanno parlato pressoché in contemporanea Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e Pierferdinando Casini. Il più agguerrito di tutti, manco a dirlo, è stato il presidente del Consiglio. Si è presentato all’incontro con i giovani del Pdl con un chiodo ben fisso in testa: il comunismo. Sarà la visita in Russia, sarà la sensazione che comunque si voterà ben prima del 2013, il premier ha di fatto tenuto un comizio da piena campagna elettorale, attaccando ogni avversario e spiegando alla sua gente che Berlusconi è buono e gli altri son cattivi.

La sensazione è che il discorso russo di Berlusconi, istituzionalmente e politicamente scorretto (ma se ne sono accorti solo Nichi Vendola e un po’ Massimo D’Alema che era testimone oculare) fosse una prova generale di quello odierno. La logica e il senso della politica suggerirebbero il contrario. Ma Berlusconi, che fa politica coi numeri e con le emozioni, ha capito che quello che dice in casa sua ha comunque più impatto. Nulla di più facile, quindi, che nelle sue intenzioni l’incontro importante fosse quello odierno di Atreju: c’erano le telecamere, i giovani e soprattutto le giovani (ad una militante ha chiesto il numero di telefono e in precedenza aveva anche ricordato la “leggenda” delle sue grandi capacità amatorie).

Risultato: una breve storia (non proprio imparziale ma sarebbe ingiusto pretenderla da lui) storia del marxismo, un attacco a Casini, uno a Fini, uno ai giudici e uno ai giornalisti. “Il solito”, come direbbe un cliente abituale di un caffè. Di nuovo, insomma, non c’è quasi nulla: anche la tirata sul comunismo è datata. Solo un dettaglio spicca per novità: Berlusconi sul palco con un librone sotto braccio. Casuale? Forse. Eppure il premier sceglie la “versione culturale” proprio nel giorno dell’incontro con i giovani e regala alle folle lo spot del “presidente che legge” e invita a leggere. Un messaggio positivo ben costruito a tavolino.

Qualche chilometro più a nord c’è Casini, quello dell’Udc e dell’eredità democristiana che parla al suo popolo dello scudo crociato. Parla attorno alle 12 di domenica. Per la vecchia Dc sarebbe stato un tabù: a quell’ora si va a messa, non ci sono santi. Casini, invece, non solo ignora il riposo domenicale ma affonda aspro su Berlusconi. Succede che da Atreju arriva la notizia secondo cui il premier ha detto: “I centristi sono contro il loro leader e vorrebbero venire con me”. A Chianciano lo smentiscono a suon di fischi. Musica per le orecchie di Casini che insiste: “Berlusconi si dimetta e poi si vedrà”. Anche qui cose già dette. E non c’era neppure il libro a suonar nuovo.

Umberto Bossi, invece, è in altre faccende affaccendato. Parla anche lui, ma parla di Padania, acque sacre e federalismo. Berlusconi e Fini si azzuffano, Casini arringa e Bossi, quasi serafico, va per la sua strada. Un conto sono i giochi di palazzo, un altro i padani. Bossi ha due lingue e le alterna con sapienza. Quando si parla al popolo del nord si evitano le beghe di palazzo e si parla di quello che il popolo vuole sentire: il federalismo ottenuto, appunto.  E poi la cerimonia dell’acqua: è domenica, è festa e un po’ di paganesimo celtico in salsa padana non guasta. ”La premiata ditta Calderoli-Bossi – ha detto Bossi rivolgendosi ai militanti presenti alla festa del Carroccio – ce l’ha fatta a portare a casa il federalismo”. E poi lo lzuccherino agli allevatori: “Non permetteremo che l’agricoltura padana scompaia nelle voraci fauci romane ed europee”.

Al festival del comizio domenicale, dulcis in fundo, si è aggiunto Pier Luigi Bersani, che ha chiuso da Torino la travagliata festa del Pd. Non l’hanno contestato, e di questi tempi è già un successo. Il leader davanti ai suoi ha ricordato i guasti del berlusconinsmo e ha lanciato ufficialmente il “nuovo ulivo”. Per il resto tasse, lavoro, e precari della scuola: temi di sostanza, veri, e che però non sembrano accendere gli entusiasmi degli italiani.

Contro Berlusconi, però,  la voce più aspra è quella di  Nichi Vendola, uno di quelli che si è accorto che certe cose all’estero non si possono dire. Gli altri leader, ciascuno a suo modo, aspettano un’epifania collettiva: che gli italiani una mattina si sveglino pensando d’improvviso che Berlusconi li ha stancati. Lo stesso Di Pietro, con la tecnica del contrappunto sistematico (oggi ha parlato di “caso psichiatrico) difficilmente sposterà il voto dei berlusconiani.

Stando così le cose è dura. Esiste un’altra possibilità: che quella del Pd sia una strategia consapevole,  lasciar (stra)parlare Berlusconi nel convincimento che più esterna più si danneggia. Possibile. Di certo le difficoltà nel governo e nel Pdl esistono, nel Pd anche.

Gli ultimi 16 anni di storia dovrebbero aver insegnato che quando Berlusconi affonda difficilmente lo fa “a braccio”: i sondaggi gli suggeriscono di tacere e tace, i numeri impongono di parlare e parla. Che si voti o meno nel 2011 la campagna elettorale è già cominciata da tempo. E sarà lunga e logorante.