Berlusconi condannato: sarà ancora Cavaliere?

Berlusconi condannato: sarà ancora Cavaliere?
Berlusconi condannato: sarà ancora Cavaliere?

ROMA – Berlusconi condannato: sarà ancora Cavaliere? Tra condanna e pene accessorie forse non è la questione più importante. Ma simbolicamente quel titolo di Cavaliere esibito da Berlusconi più come un marchio di fabbrica, un logo diremmo oggi, che una normale onoreficenza, vale metafore un po’ fruste ma certo obbligate: il Cavaliere disarcionato, si dirà. Per ora, fino a che, con Calvino, non evapori come un Cavaliere dimezzato. Perché adesso c’è il rischio davvero che gli venga ritirato: ma non si tratta di un automatismo immediatamente eseguibile. Prima deve essere dichiarato “indegno”. Solo allora gli toccherebbe lo steso destino di un Calisto Tanzi dopo la condanna per il crac Parmalat.

Una legge del 1986, la 194, recita all’art. 13: “Incorre nella perdita dell’onorificenza l’insignito che se renda indegno”. Berlusconi la ricevette dal presidente della Repubblica Giovanni Leone nel 1977 per i suoi meriti da imprenditore: cavalierato del Lavoro, brevetto numero 1879, settore industria. Il fatto è che il concetto di indegnità non è univoco e dipende da una molteplicità di fattori. Il testo che disciplina la materia in realtà sarebbe abbastanza chiaro specie al comma C dove si impone “l’aver adempito agli obblighi tributari”. Ora, per un condannato per frode fiscale le porte dell’indegnità dovrebbero essere spalancate. Ma non è così ovvio né lineare.

L’iniziativa per il ritiro dell’onoreficenza è tra le prerogative del ministro dello Sviluppo, poltrona occupata oggi da Flavio Zanonato, Pd. Anche in questo caso sono previste misure di garanzia e diritto alla difesa. All’eventuale proposta di revoca Berlusconi ha diritto a presentare entro 30 giorni una memoria scritta da sottoporre al Consiglio dell’Ordine. Consiglio formato da vari membri in rappresentanza dei ministeri, delle professioni , delle associazioni ecc…Più otto cavalieri scelti dal ministro. L’ordine redige un parere che insieme alla proposta di revoca firmata dal ministro giunge sul tavolo del Presidente della Repubblica. Solo allora la revoca può essere disposta “con decreto presidenziale”.

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