Berlusconi non fa sconti ai finiani: “Chi non sta con noi è fuori”

Silvio Berlusconi

Nel gioco del cerino che precede quella che un irridente Vittorio Feltri chiama ”la sagra di Mirabello”, Silvio Berlusconi oggi rimette in mano il fiammifero al cofondatore Gianfranco Fini.

Che non venga a dirci – ragiona di fronte ai ‘falchi’ del Pdl convocati a Palazzo Grazioli alla vigilia dell’atteso discorso del presidente della Camera – che sono io a cacciarlo. C’è nero su bianco un documento politico della direzione del partito di aprile che noi abbiamo votato tutti, mentre i 12 finiani hanno votato contro. Basta ripartire da lì per capire come sono andate le cose.

Il punto è sempre quello. Fini cerca di riportare le cose a quella che per lui è la vera questione politica: la sua ‘cacciata’ dal partito che ha cofondato ed il deferimento ai probiviri (nella riunione di metà settembre oggi confermata dal coordinatore Denis Verdini) di tre dei suoi fedelissimi.

Berlusconi invece risposta il tiro sulla giustizia, chiede l’adesione incondizionata di Fini ad una soluzione della delicata questione dello scudo per chi governa facendo di questo il vero nodo politico. Il Guardasigilli ne avrebbe parlato oggi con il Capo dello Stato, illustrando a Giorgio Napolitano possibili modifiche al processo breve.

Ma nel Pdl iniziano a prendere corpo anche soluzioni alternative come l’ipotesi di un allungamento a due anni del legittimo impedimento o una più complessiva riforma del processo penale che comprenda norme che risolvano la questione cara al Cavaliere.

Da Mirabello, in definitiva, il premier non sembra poi aspettarsi altro che conferme della sua idea: Fini non vuole rompere, non vuole annunciare nessun nuovo partito, vuole soltanto logorare il Pdl e non dirà nulla di particolarmente nuovo, se non che è stato ingiustamente cacciato.

Invece per il premier è l’ex leader di An che porta la responsabilità della rottura nella direzione di aprile. Il pronunciamento sulla ‘incompatibilità’ di Fini con il Pdl dell’ufficio di presidenza di fine luglio non farebbe altro che certificare il voto contrario di Fini e dei suoi sul documento politico votato allora dall’intero Pdl (tranne i 12 fedelissimi del Presidente della Camera).

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