“Una rogatoria lo impalerà”. Berlusconi pregusta, Fini che aspetta?

fini berlusconiSilvio Berlusconi aspetta le “rogatorie”. E Gianfranco Fini cosa aspetta? Rogatoria, parola che ad Arcore il padrone di casa e gli ospiti più cari si scambiano e gustano come una dolce caramella, se la rigirano in bocca, con relativa acquolina. Rogatoria, cioè quella richiesta dei magistrati italiani di ottenere i documenti che sono all’estero. I documenti dove c’è scritto chi davvero comprò da An la casa di Montecarlo. Non una sigla, non una società, ma la persona in carne e ossa. Persona in carne e ossa che gli amici e fans della rogatoria si aspettano, sperano, confidano, scommettono sia Giancarlo Tulliani o un suo prestanome. Se così fosse, se così dovesse alla fine risultare, rogatoria vorrà dire nero su bianco che il “Cognato” ha fatto fesso Fini o peggio che Fini ha fatto a suo tempo al cognato un favore indecente. Meglio la seconda ipotesi per chi Fini vuole “polverizzare”. Ma anche la prima, un Fini fesso e fatto tale può bastare. Così ad Arcore si recitano novene di attesa e invocazione della “rogatoria”. Rito nuovo di zecca da quelle parti: per anni rogatoria è stata ad Arcore parola blasfema, turpiloquio. Domandare per credere a Ghedini, a quante rogatorie si è opposto nella sua carriera? Tutte quelle che riguardavano le indagini sulla finanza internazionale e sugli affari all’estero di Finivenst e poi Mediaset: una legione.

E Fini che aspetta? Italo Bocchino si impegna, ma la sua è contraerea di modesta gittata. Recupera dal dimenticatoio nazionale la storia sepolta, anzi digerita, della stessa villa di Arcore. Divenne proprietà di Berlusconi non certo a prezzo di mercato, Cesare Previti favorì “l’affare” del capo convincendo la proprietaria di prima a cederla sotto prezzo. E’ vero, ma è archeologia. E poi soprattutto la vicenda fu vissuta e interpretata dalla pubblica opinione come un’altra prova dell’abilità affaristica e imprenditoriale di Berlusconi. Era stato un bel colpo della “simpatica canaglia”, così passò agli archivi del sentire nazionale. Non è così, non è con questi colpi poco più che a salve che si ripara Fini dal cognato, dal cognato che lo ha fatto fesso o gli ha estorto l’indecente favore. Dunque Fini che aspetta?

Aspetta il martirio quotidiano, il sommarsi e stratificarsi di dubbi e danni? Ogni giorno un mattone, un mattone in meno all’immagine della famiglia. Quella foto di Giancarlo Tulliani con la Ferrari è solo la quotidiana manciata di sale sulla ferita aperta. Fini aspetta, non si muove e sbaglia. Nel suo piccolo Blitz già due giorni fa aveva segnalato il “Punto Nove”, il punto mancante, maledettamente mancante nella rocostruzione della vicenda fatta dal presidente della Camera. Il Punto che non c’è e avrebbe dovuto esserci: quello in cui si invita il cognato a sgomberare la casa e ci si assume la responsabilità di riparare il danno ricomprandola se necessaria la casa e ridestinandola ad An. Il punto in cui il “fatto fesso”, se così è, rinsavisce e la fa pagare al parente furbo. Oppure quello in cui si paga il prezzo del favore sbagliato. Con tutta la sua importanza e imponenza due giorni dopo è arrivata anche “Repubblica”. Editoriale di prima pagina: “Fini deve pretendere la verità da Giancarlo Tulliani, intermediario e beneficiario della vendita. Fini chieda a Tulliani di rivelare i nomi e i cognomi degli acquirenti per rispondere al sospetto, ogni giorno più pesante, che Tulliani abbia intermediato per se stesso dietro il paravento offshore. Solo così si potrà accertare che la famiglia venditrice non è anche la famiglia acquirente. Poi Fini potrà dire pubblicamente a Berlusconi che una democrazia non si governa con l’intimidazione e i ricatti, a colpi di dossier, come accade solo nei regimi”.

Fini non può aspettare le rogatorie, qualunque cosa contengano. Non ne ha il tempo. Se le rogatorie dovessero tra settimane e mesi rivelare che non c’è stato inganno del cognato o favore al cognato, nerl frattempo Fini sarà stato sottoposto all’acido corrosivo del sospetto di cecità o connivenza. E’ il “metodo Boffo”, ha funzionato anche se Boffo era colpevole di nulla. Se c’è calunnia ai danni di Fini, il tempo gioca a favore della calunnia. Se invece le rogatorie dovessero rivelare domani che Giancarlo Tulliani ha “giocato” Fini oppure si è fatto “assegnare” l’appartamento di Montecarlo come un familiare favore, allora aspettare è doppiamente suicida. Meglio essere il primo a rivelare la verità. Con la verità in mano e sulle labbra, per quanto brutta sia, esiste una possibilità sia pur minima di cavarsela di fronte al giudizio della pubblica opinione. Giocando a nascondino con la verità di certo Fini perde la faccia e la partita.

Noi non sappiamo quale sia la verità vera, sappiamo che quella sussurata, anzi propalata è che la rogatoria incastrerà Giancarlo Tulliani e quindi Fini. Può non essere vero. Ma anche se non è vero, non basta a Fini attendere la magistratura. Inchiodi suo cognato, gli imponga l’obbligo immediato della verità. Può farcela, deve farcela. Altrimenti lo infilzano e lo impalano con la lama e il legno di una rogatoria. Anche se domani la rogatoria fosse innocua per Fini, domani sarebbe troppo tardi.

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