Berlusconi & Lario: caccia alla parola mancante. Era “porco”?

Veronica Lario e Silvio Berlusconi
Veronica Lario e Silvio Berlusconi

Una delle ultime puntate del lancio del libro di Bruno Vespa ha acceso una polemica su cosa disse davvero la quasi ex moglie di Silvio Berlusconi, Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario, nella dichiarazione all’agenzia di stampa Ansa il 28 aprile 2009. La signora Berlusconi accusò il marito di frequentare minorenni e di essere “malato”.

Furono parole che modificarono in parte il corso della politica italiana e che già come furono riportate dai giornali ebbero un forte impatto sui giornali e i siti internet di tutto il mondo. Ora si scopre che da quelle frasi, così pesanti perché pronunciate non da un avversario politico o industriale ma dalla legittima moglie, mancava un insulto supremo, una parola così bruciante che il direttore dell’Ansa, Giampiero Gramaglia, consigliò la Lario di cancellare e venne ascoltato.

Nelle ultime 24 ore si è scatenata la caccia alla parola mancante e sabato mattina il giornale Il fatto quotidiano mette sei lettere al posto dei puntini: “maiale”. 

Da quel che qualche discreta indagine ha consentito di accertare, Francesco Bonazzi, autore dello “scoop” e ottimo cronista, sia andato molto vicino al bersaglio, anche se appare più probabile che la parola vera sia di sole cinque lettere, “porco”, più consona a una moglie del nord Italia, dove nell’uso dialettale è appunto porco che prevale nella definizione del versatilissimo animale di cui nulla va sprecato, rispetto a maiale.

Mentre la caccia alla parola mancante sembra essere terminata, resta da capire la motivazione di Bruno Vespa nel riportare la vicenda in quei termini e perché in primo luogo gli siano state fornite le informazioni da Berlusconi o da chi gli stava vicino. Vespa è un eccellente giornalista, e questo gli viene riconosciuto anche dai suoi avversari più radicali, e appare quindi improbabile che abbia inventato di sana pianta tutti i dettagli della ricostruzione di quella sera del 28 aprile, come sono riportati dal sito Dagospia.com e da Dario Cresto-Dina su Repubblica.

Nelle dichiarazioni rilasciate da Veronica Lario all’Ansa, scrive Cresto-Dina, “c´è soprattutto una frase terribile, un giudizio sul marito che suona come un epitaffio morale. [Giampiero] Gramaglia [direttore dell’Ansa all’epoca] cerca Bonaiuti a Varsavia, gli legge le dichiarazioni della Lario. Il premier non può abbandonare la cena ufficiale fino al dolce, lo ingolla frettolosamente, prende il cellulare dal suo portavoce che lo avverte: «Veronica è imbufalita». Dall´altra parte c´è Gramaglia.

Scrive Vespa: «Il direttore dell´Ansa gli lesse il testo integrale, inclusa la frase incriminata, e lo avvertì che, quando la signora lo avesse richiamato, le avrebbe chiesto di toglierla. Berlusconi restò interdetto. Disse che si trattava di una questione privata e dunque non capiva perché l´Ansa avrebbe dovuto diffondere una cosa del genere. Lasciò intendere che avrebbe contattato la moglie per un chiarimento, ma poi rinunciò».

Prosegue Cresto-Dina: “A questo punto a Gramaglia resta da affrontare la moglie del premier. Questo il resoconto del colloquio telefonico fatto da Vespa. «Signora, la frase è un po´ troppo sopra le righe. Mi permette di tagliarla?». «Direttore, ho i miei buoni motivi per averla scritta. Comunque, si regoli come meglio crede. L´importanza è che la sostanza di quel che penso esca immutata». Vespa non rivela quale fosse la frase tagliata e Gramaglia, sentito da Repubblica, dice: «Ritengo sia sbagliato e ingiusto parlare di censura. Abbiamo fatto il nostro mestiere. Quell´espressione era troppo forte, passibile di querela. Decisi di toglierla solo dopo aver parlato con la signora e avere avuto il suo sì». Ma perché prima avvisò Berlusconi? «Giudicai la situazione delicata, forte e importante anche sul piano politico. Mi sembrò giusto avvertire il presidente del Consiglio»”.

In queste parole potrebbe esserci una chiave della rivelazione. Infatti Gramaglia, che nel frattempo ha lasciato la direzione dell’Ansa, è chiaramente guardato con sospetto dagli oppositori di Berlusconi per avere “censurato” la parola incriminata e anche per avere informato preventivamente Berlusconi di quanto stava per capitargli addosso. Anche se appare evidente che Gramaglia abbia agito con correttezza professionale, avendo non censurato ma convinto la stessa fonte a rinunciare a una espressione che avrebbe potuto comportare problemi legali sia per la Lario sia per l’Ansa, avvertì il destinatario dell’accusa, come fa o dovrebbe fare un buon giornalista per ottenere una versione contraria. Gramiaglia disse no anche a Berlusconi, il quale gli chiese di non pubblicare nulla e che forse proprio per questo lo ha dato in pasto ai suoi avversari come doppiop traditore: che poi è quelò che ogni buon giornalista dovrebbe essere.

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