Berlusconi e Lega “parlano senza più sapere”, alla sinistra “il resto di niente”

Pubblicato il 31 Maggio 2013 - 07:28 OLTRE 6 MESI FA

Berlusconi e Lega "parlano senza più sapere", alla sinistra "il resto di niente"L’ astensionismo, nel Nord e in particolare nel Nord Est, nella interpretazione di Gianluigi Paragone, su Libero,

“rappresenta il rilancio dell’indifferenza e talvolta l’odio verso Roma, verso uno Stato che continua a non interessarsi a quelle migliaia di famiglie che ogni giorno chiudono la porta di casa per infilarsi in quella del «proprio» capannone”.

la stessa ribellione, spiega, che fu all’origine del successo della Lega, venti e più anni fa:

“Siamo sempre inchiodati su quella roba lì. È sempre quel rancore verso una Roma mangia- soldi. Il Lombardo-Veneto da lì non si è mai mosso di un centimetro. Aveva trovato, questo sì, in una coalizione politica il suo contenitore naturale. Aveva trovato nel linguaggio di Bossi e di Berlusconi l’idem sentire «barbaro», la voce che potesse mettere paura allo Stato padrone prima ancora che ladrone. Ma la stagione politica adesso è finita, si è consumata”.

 

Segue l’analisi della crisi elettorale di Lega e Pdl in quelle regioni:

“Il cedimento di Gentilini a Treviso, il tonfo della Del Lago a Vicenza, l’impasse di Paroli a Brescia traducono la delusione per una lunga stagione dove ai grandi proclami non sono seguiti grandi cambiamenti. In Veneto soprattutto la voglia di grandi cambiamenti è un’esigenza concreta, la buona amministrazione (che pure certi sindaci hanno garantito in passato) non è di per sé più sufficiente. La Lega e il Pdl vengono interpretati come partiti contaminati, romanizzati nelle abitudini e nel linguaggio.

“Le faide interne hanno irritato questa gente allergica alle ciance. Negli ultimi due anni mi è capitato di partecipare a incontri con piccoli imprenditori, ebbene la lamentela era sempre la stessa: la velocità della politica non è più compatibile con la velocità della concorrenza imprenditoriale. A maggior ragione in tempi di crisi. «Non possiamo stare dietro a uno Stato sprecone e menefreghista », raccontavano, «quando è in gioco la nostra sopravvivenza di imprenditori. I tempi non sono quelli della politica ma sono quelli della sfida sui mercati». Difficile dare loro torto.

“L’astensionismo padano è chiuso in questa distonia di passo. Non è altro. Tassazione alle stelle e indifferenza dello Stato sono nemici mortali. Nel senso che l’obiettivo della ribellione non è solo la classe politica ma l’intero sistema statale fatto di burocrati, di dirigenti e di banchieri furbetti. «Va’ in mona», ti urlano dietro i più moderati. «Devono morire tutti quanti», sovrastano i più oltranzisti”.

Il rapporto con la politica

“si è spezzato. Ora restano le macerie e non  [è] possibile una riappacificazione. Il declino resta. Può trovare qualche aggiustamento ma «nulla sarà come prima» appunto. Né il Carroccio né Berlusconi potranno farlo, perché l’impressione diffusa è che «parlano senza più sapere». Più di ogni altra cosa brucia la lentezza della politica”.

Però, attenti a sinistra, non si illudano. Gianluigi Paragone si chiede se

“dunque il testimone passa nelle mani della sinistra”

e si risponde deciso:

“Nemmeno per sogno. La sinistra si ritrova a beneficiare di un consenso residuale ma resta un rimasuglio. Si tratta del resto di niente. Il centrosinistra maneggerà quel poco che aveva già in mano ma non ha il passo giusto per intercettare realmente e a lungo il grido di ribellione. Lo provano le frasi di soddisfazione che arrivano dal fronte governativo. «Le larghe intese non fanno male alla politica» è la dichiarazione (fatta da Enrico Letta) del miope che si vanta di avere la vista dell’aquila. Il Nord non può accontentarsi del passo cortissimo del governo, non ne accetta i tempi. Il non voto è una scelta, è il malessere di questa democrazia incapace di dare risposte alla velocità supersonica della crisi”.