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Berlusconi resiste, nonostante tutto. Le opposizioni: è Piccolo Aventino

di Alberto Francavilla |12 Ottobre 2011 20:09

ROMA – L’opposizione prepara un “Piccolo Aventino” contro Silvio Berlusconi. La notizia, che era trapelata come proposta dell’Udc, è stata confermata anche da Pd, Idv e da tutto il Terzo Polo. I deputati dell’opposizione usciranno da Montecitorio mentre parla Berlusconi il 13 ottobre. Poi voteranno la sfiducia il 14. Come fecero nel ’24 gli oppositori di Mussolini. Protesteranno perché Berlusconi continua a rifiutare l’ipotesi dimissioni.

Spiegano i gruppi parlamentari in una nota comune, non si può essere più “complici di una situazione insostenibile”. Dopo il voto sul rendiconto di bilancio (il governo è andato sotto sull’articolo 1), la maggioranza è stata “costretta” a chiedere la fiducia in Parlamento. Perché Berlusconi non vuole lasciare. Nonostante le crepe sempre più evidenti nella sua coalizione. Nonostante i deputati “traditori” che non hanno votato seppur presenti in Aula.

Ma Berlusconi a dimettersi non ci ha pensato proprio: per il premier la bocciatura dell’11 ottobre è stata solo “un incidente tecnico”. Ma stavolta l’opposizione non vuole più starlo a sentire. Per questo non ascolterà le “dichiarazioni programmatiche” su cui si voterà la fiducia. Per questo il 12 ottobre il presidente della Camera (ma anche leader di Fli), Gianfranco Fini, è andato al Quirinale da Giorgio Napolitano. La situazione, sostengono gli avversari di Berlusconi, “è insostenibile”. E Napolitano ha lanciato un messaggio chiaro: “Tocca a Berlusconi trovare la soluzione”. Anche la Giunta sui regolamenti della Camera ha detto che su quell’articolo 1 non si può rivotare.

Tutto questo non è bastato: Berlusconi non si dimette. Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, bolla i parlamentari dell’opposizione come “degli eversivi”.

Loro invece si autonominano paladini della Repubblica: ”Il rispetto per le istituzioni repubblicane e per il Parlamento ci impone di votare la sfiducia al governo rispondendo alla chiama di venerdì mattina”. Proprio come nel ’24. Ma quel giorno “l’Aventino” consegnò definitivamente l’Italia nelle mani del Duce.

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