Berlusconi, piove sul bagnato. Bini Smaghi l’ultima tegola

ROMA –  Ci mancava solo la tegola Bini-Smaghi. Per il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sono due mesi da dimenticare in fretta, sempre che si chiudano senza scivoloni definitivi. È iniziato tutto con la sberla delle amministrative, col centrosinistra che si tiene tutte le sue città e porta a casa a sopresa Milano. E’ continuato con la doccia fredda dei quattro referendum, appena intiepidita dallo stratagemma di lasciare la “libertà di voto”. Le quattro leggi cancellate erano frutto del lavoro del governo e più della metà degli italiani le ha cassate. Poi c’è la Lega dalla “fedeltà a suspence”: con Berlusconi, evidentemente in privato, gli alleati sono tranquillizzanti ma quando si tratta di dichiarazioni pubbliche non si va oltre un poco incoraggiante “a Pontida vedremo”.

Così mentre l’esecutivo che da governo del  “fare” si è trasformato in governo del “tentare di sopravvivere” attende il responso della base leghista a Berlusconi scoppia in mano un’altra  grana. A vederla superficialmente sembra una “semplice” (anche se a livelli alti) bega di poltrone: per il definitivo via libera di Mario Draghi alla Banca Centrale europea serve che l’altro italiano comodamente seduto in direttivo, Lorenzo Bini-Smaghi, più o meno volontariamente decida per il passo indietro.

Questione non tanto di “galateo” quanto di sostanza e di delicati equilibri europei: i posti nel consiglio, a parte il presidente, sono appena cinque e il fatto che l’Italia possa avere due poltrone, in Germania e soprattutto in Francia, pare un po’ troppo anche perché ad uscire dal giro è proprio un francese, il presidente in carica Jean Claude Trichet. Da qui l’impegno di Berlusconi con il presidente Nicolas Sarkozy: una sorta di “ghe pense mì” ufficioso diventato ufficiale con la formale richiesta di dimissioni per liberare la poltrona di Bini Smaghi e renderla disponibile per un transalpino.

Per Berlusconi e Tremonti (che, per usare un eufemismo, non ama Draghi), è sulla carta il “colpo del secolo”: l’attuale presidente di Bankitalia, alla Bce, sarebbe a distanza di sicurezza. Senza contare il ritorno d’immagine: Berlusconi può “fregiarsi” di aver piazzato un italiano alla Bce e “venderlo” come un successo della politica estera del governo. Non sarà come “salvare la vita” al presidente georgiano Saakashvili ma è comunque un risultato.

Berlusconi, però, fa i conti senza l’oste, oste che giudica il suo vino, la poltrona nel board, particolarmente buono. Bini Smaghi a dimettersi non ci pensa neppure lontanamente. Del resto, dal suo punto di vista, la questione è chiara: ha un incarico perfettamente legittimo in una delle principali istituzioni europee. Ed è un incarico che scade tra due anni e, in teoria, non dipende dalla politica. Per smuovere Bini-Smaghi che a caldo si è paragonato a Tommaso Moro (martire per l’indipendenza) serve un incarico almeno altrettanto importante: e questo è il primo problema.

L’altro è che botte piena e moglie ubriaca proprio non si può: Francia e Germania l’hanno fatto capire in modo chiaro, se Bini Smaghi non salta, salta Draghi. Con conseguenze facilmente immaginabili, sia sul piano d’immagine sia su quello politico. E’ una “minaccia” che Berlusconi prende giustamente sul serio al punto che nella serata di venerdì 17 giugno precisa nuovamente il suo “totale accordo” con la richiesta francese. La Germania, con Angela Merkel, stringe già la mano al futuro presidente Draghi, ma ribadisce che la questione dell’equilibrio in Bce è prioritaria.

Tutto, ma trattasi solo di teoria, si sbloccherebbe “magicamente” piazzando Bini-Smaghi alla presidenza della Banca d’Italia, ovvero al posto al momento occupato da Draghi. Peccato che la strada sia particolarmente impervia. L’Istituto, infatti, punta sulla soluzione interna e in sostanziale continuità con il lavoro di Draghi: il nome è quello dell’attuale direttore generale Fabrizio Saccomanni. Quanto alla nomina la procedura è complessa: la ratifica spetta al presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio in accordo con Bankitalia. Per Berlusconi lo scenario non è dei più rosei: se Bini Smaghi non dovesse vincere la partita per Bankitalia potrebbe essere dirottato, a patto che accetti, all’Antitrust. In ogni caso la situazione sarebbe complessa: Berlusconi si ritroverebbe con un “nemico” come Draghi alla Bce, un osso duro come Tremonti all’economia e un candidato non scelto e non necessariamente “allineato” a Bankitalia. Un prezzo pesante, tutto per spostare un “avversario” in cima al tetto bancario d’Europa.

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