Berlusconi e la telefonata di Putin per liberare i pescatori di Mazara: così ha raccontato al comandante

di Redazione Blitz
Pubblicato il 21 Dicembre 2020 - 09:38 OLTRE 6 MESI FA
Silvio Berlusconi e la telefonata di Putin per liberare i pescatori di Mazara: così ha raccontato al comandante

Berlusconi e la telefonata di Putin per liberare i pescatori di Mazara: così ha raccontato al comandante (Foto d’archivio Ansa)

Silvio Berlusconi dice che i pescatori di Mazara del Vallo sono liberi grazie a Putin. O meglio, Berlusconi non l’ha detto pubblicamente ma pare l’abbia detto al comandante del peschereccio Medinea. Pietro Marrone ha raccontato il colloquio con l’ex presidente del Consiglio.

E naturalmente il governo, per bocca del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, si è affrettato a smentire questa ricostruzione. Ricostruzione che sminuirebbe il lavoro fatto proprio dal governo.

Berlusconi e la telefonata di Putin per i pescatori di Mazara

L’armatore, liberato pochi giorni fa, ha ricevuto una telefonata di Silvio Berlusconi. Marrone in quel momento era a pranzo in un ristorante. Berlusconi l’ha tirato su e poi gli ha riferito la sua versione delle cose. “Non si può dire ma è stato il signor Putin con le sue telefonate ad Haftar a far liberare i pescatori. Questa è la verità”.

Emozionato per l’inattesa telefonata, Marrone ha colto il lato leggero del colloquio. Infatti ha raccontato ai giornalisti di aver parlato con quello che per lui resta il presidente del Milan, la sua squadra del cuore. Anche se oggi Berlusconi è il presidente del Monza.

Il rientro in Italia dei pescatori di Mazara

Sono tornati dopo un viaggio che da Bengasi a Mazara del Vallo è durato 57 ore. I diciotto pescatori sequestrati l’1 settembre a 50 miglia da Tripoli, sono stati accolti nella loro città da una giornata inclemente, con pioggia e nuvole basse. Ma hanno incassato la gioia dei loro parenti, esplosa l’Antartide e il Medinea hanno fatto ingresso al Porto Nuovo.

Dopo i controlli medici (tutti negativi al Covid), sulle auto private hanno lasciato il porto. Non prima di essere attorniati da giornalisti incuranti delle misure anti assembramento.

I racconti della prigionia in Libia

Poi sono cominciati i racconti dei marinai, che convergono su alcuni punti. La violenza psicologica subita durante la prigionia, l’angoscia di vivere in celle buie e sporche, l’idea che l’eventuale rilascio (qualcuno non ci credeva più) dipendesse da questioni più grandi di loro.

Nelle parole di Gira Indra Gunawan, marittimo indonesiano dell’Antartide, il cui contratto annuale è scaduto mentre era in carcere, c’è la misura della paura vissuta: un mese dopo il sequestro i carcierieri gli hanno detto che il suo destino e quello dei suoi compagni era legato al buon esito dello scambio con alcuni libici detenuti in Italia (le 4 giovani promesse del calcio, come li ritengono i libici, condannati a Catania per essere gli scafisti di un barcone naufragato al largo delle coste siciliane).

“Ci è bastato per capire che forse ci trovavamo nella mani di terroristi”. Così dice Gunawan, ospitato in un albergo (riaperto per l’occasione) insieme a un connazionale. In attesa di tornare nel suo paese.

Il racconto del sequestro

E uno dei marinai, Giovanni Bonomo, prima di essere ascoltato dai carabinieri, ricorda i concitati momenti del sequestro. “Mell’area a 50 miglia dalle coste libiche c’erano 12 pescherecci. L’unica motovedetta libica è riuscita a bloccarne quattro avvicinandosi e sparando in aria. Due barche sono riuscite a scappare mentre noi siamo stati costretti a dirigerci verso Bengasi. Nell’immediato abbiamo chiesto aiuto alle motovedette italiane, ma ci hanno risposto che erano troppo lontane dall’area”.

Il comandante della Medinea, Pietro Marrone, con la sobrietà mutuata dal suo ruolo, sostanzialmente conferma che le paure di Gunawan erano anche le sue. Marrone e i comandanti degli altri tre pescherecci coinvolti nel sequestro (due sono riusciti a darsi alla fuga), sono stati ascoltati dal Ros nella caserma dei carabinieri di Mazara, nell’ambito dell’indagine aperta dalla procura di Roma. Il comandante ringrazia il nostro governo e soprattutto sua mamma, Rosetta Ingargiola, 74 anni, una indomabile lottatrice che ha protestato davanti a Montecitorio per 40 giorni. “Ho sempre contato su di lei. Ha perso il marito, poi un figlio in un naufragio. Non poteva perdere anche me”. (Fonte Ansa)