Berlusconi: “Mi ritiro, primarie a dicembre e largo ai giovani”

Silvio Berlusconi (LaPresse)

ROMA – Sarà per i sondaggi che non volevano sapere di dare segnali di ripresa, sarà forse per semplice logorio e stanchezza, logorio accentuato da un partito, il Pdl, sempre più scisso, debole e fuori controllo. Sta di fatto che dopo 18 anni e cinque mandati da presidente del Consiglio la storia di Silvio Berlusconi premier è finita: il Cavaliere fa il passo indietro definitivo. Ammesso e non concesso che ci sarà un Pdl alle prossime elezioni politiche, non sarà lui a guidarlo, non ci sarà più il logo “Berlusconi presidente” stampato da anni su milioni di schede elettorali.

C’è poi un’altra ipotesi, di fantapolitica, quella che il passo indietro sia in qualche modo frutto di un accordo, l’uscita di scena  in cambio di un salvacondotto che nel caso di Berlusconi potrebbe essere l’amnistia, soluzione che risolverebbe a priori all’ex premier il problema di un’eventuale condanna nel processo Ruby. Ipotesi da retroscena e forse fantasiosa, eppure ipotesi di cui si parla.

L’annuncio del ritiro arriva con una nota nel pomeriggio di martedì, nota che nei toni e negli accenti vuole fare il verso al celebre “discorso della discesa in campo” del 1993.

“Per amore dell’Italia si possono fare pazzie e cose sagge. Diciotto anni fa sono entrato in campo, una follia non priva di saggezza: ora preferisco fare un passo indietro per le stesse ragioni d’amore che mi spinsero a muovermi allora”.

Allora, nel 93, c’erano i “comunisti”, quelli che “dicevano di essere cambiati, ma in realtà non è vero”. Oggi, nel giorno del passo indietro, la parola comunisti non compare. Ma anche nel congedo Berlusconi se la prende con la sinistra:

“La continuità con lo sforzo riformatore cominciato diciotto anni fa è in pericolo serio. Una coalizione di sinistra che vuole tornare indietro alle logiche di centralizzazione pianificatrice che hanno prodotto la montagna del debito pubblico e l’esplosione del paese corporativo e pigro che conosciamo, chiede di governare con uno stuolo di professionisti di partito educati e formati nelle vecchie ideologie egualitarie, solidariste e collettiviste del Novecento”.

Senza il video, uno dei punti di forza della discesa in campo e senza i comunisti, però, l’efficacia non è la stessa. Al di là di tutte le parole di circostanza quella di Berlusconi è una resa, una mossa che brucia e che non appartiene al suo repertorio. E lo stesso discorso di saluto, tra metafore calcistiche, cenni alle ideologie e investitura ai giovani, ha un che di triste e di irrisolto. Perché Berlusconi si fa da parte per necessità, con la consapevolezza amara di chi non ha compiuto la missione.

Nella stessa nota, quindi, Berlusconi annuncia che il 16 dicembre ci saranno le primarie nel Pdl per eleggere il “successore”. Non un segretario (quello il Pdl ce l’ha già, almeno per ora), non un candidato premier, ma un “successore”. E forse proprio nell’identificazione assoluta di Forza Italia prima e del Pdl poi con il suo fondatore c’è la causa della disgregazione oggi in atto nel partito. Quella che per quasi vent’anni è stata la forza trainante del logo Berlusconi ora rischia di essere proprio la causa del tracollo del Pdl. Un primo e parziale test ci sarà in Sicilia domenica. Test non casuale: là poco più di 10 anni fa, nel 2001, il Pdl realizzò un filotto storico, un 61-0 citato proprio in questi giorni da Beppe Grillo.  Gli ultimi sondaggi danno il Pdl poco sotto il Movimento 5 Stelle. Che effetto avrà il passo indietro dell’ex presidente del Consiglio?

Il passo indietro di Berlusconi era comunque nell’aria da diverse settimane. I segnali erano chiari: un ruolo sempre più defilato, pochi incontri strettamente istituzionali, assoluta assenza nella fase della massima tensione centrifuga all’interno del Pdl. E poi le sortite distruttive di Daniela Santanché che forse agiva proprio su dettato del Cavaliere.

Berlusconi ha studiato a lungo il passo. Per qualche mese ha covato l’illusione del rilancio e più di qualche volta la leadership di Alfano è stata in discussione. Poi hanno iniziato a circolare nomi di un nuovo partito che avrebbe rimpiazzato il Pdl, da Forza Italia a Italia fino a Italia che Lavora. Partito che ovviamente avrebbe dovuto essere guidato da Berlusconi. I sondaggi, compagni di viaggio nei 20 anni di Berlusconi in politica, non hanno però mai dato segnali di un’inversione di tendenza. Il marchio Berlusconi trainava, nella migliore delle valutazioni, solo qualche punto percentuale in più. Quindi ha iniziato a circolare l’ipotesi della lista civica parallela al Pdl. E anche qua sono fioccati i nomi degli imprenditori potenzialmente coinvolti nel progetto: l’ultimo era quello di Flavio Briatore

Il discorso integrale con cui Berlusconi annuncia il passo indietro. ‘Per amore dell’Italia si possono fare pazzie e cose sagge. Diciotto anni fa sono entrato in campo, una follia non priva di saggezza: ora preferisco fare un passo indietro per le stesse ragioni d’amore che mi spinsero a muovermi allora. Non ripresenterò la mia candidatura a Premier ma rimango a fianco dei più giovani che debbono giocare e fare gol. Ho ancora buoni muscoli e un po’ di testa, ma quel che mi spetta è dare consigli, offrire memoria, raccontare e giudicare senza intrusività.

Con elezioni primarie aperte nel Popolo della Libertà sapremo entro dicembre chi sarà il mio successore, dopo una competizione serena e libera tra personalità diverse e idee diverse cementate da valori comuni. Il movimento fisserà la data in tempi ravvicinati (io suggerisco quella del 16 dicembre), saranno gli italiani che credono nell’individuo e nei suoi diritti naturali, nella libertà politica e civile di fronte allo Stato, ad aprire democraticamente una pagina nuova di una storia nuova, quella che abbiamo fatto insieme, uomini e donne, dal gennaio del 1994 ad oggi.

Lo faranno con un’investitura dal basso nella quale ciascuno potrà riconoscere non solo i suoi sogni, come in passato, e le sue emozioni, ma anche e soprattutto le proprie scelte razionali, la rappresentanza di idee e interessi politici e sociali decisivi per riformare e cambiare un paese in crisi, ma straordinario per intelligenza e sensibilità alla storia, che ce la può fare, che può tornare a vincere la sua battaglia europea e occidentale contro le ambizioni smodate degli altri e contro i propri vizi”.

”Siamo stati chiamati spregiativamente populisti e antipolitici della prima ora” prosegue ancora Berlusconi riconoscendo che ”siamo stati in effetti sostenitori di un’idea di alternanza alla guida dello Stato sostenuta dal voto popolare conquistato con la persuasione che crea consenso. Abbiamo costruito un’Italia in cui non si regna per virtu’ lobbistica e mediatica o per aver vinto un concorso in magistratura o nella pubblica amministrazione. Questa riforma ‘populista’  è la più importante nella storia dei centocinquant’anni dell’unità del Paese, ci ha fatto uscire da uno stato di sudditanza alla politica dei partiti e delle nomenclature immutabili e ha creato le premesse per una nuova fiducia nella Repubblica”.    

”Sono personalmente fiero e cosciente dei limiti della mia opera e dell’opera collettiva che abbiamo intrapreso, per avere realizzato la riforma delle riforme rendendo viva, palpitante ed emozionante la partecipazione alla vita pubblica dei cittadini. Questo – aggiunge pero’ il Cavaliere – non poteva che avere un prezzo: la deriva verso ideologismi e sentimenti di avversione personale, verso denigrazioni e delegittimazioni faziose che non hanno fatto il bene dell’Italia. Ma da questa sindrome infine rivelatasi paralizzante siamo infine usciti con la scelta responsabile, fatta giusto un anno fa con molta sofferenza ma con altrettanta consapevolezza, di affidare la guida provvisoria del paese, in attesa delle elezioni politiche, al senatore e tecnico Mario Monti, espressione di un Paese che non ha mai voluto partecipare alla caccia alle streghe”.    

”Il presidente del Consiglio e i suoi collaboratori – dice quindi Berlusconi riferendosi a Monti – hanno fatto quel che hanno potuto, cioè molto, nella situazione istituzionale, parlamentare e politica interna, e nelle condizioni europee e mondiali in cui la nostra economia e la nostra società hanno dovuto affrontare la grande crisi finanziaria da debito.  Sono stati commessi errori, alcuni riparabili a partire dalle correzioni alla legge di stabilita’ e ad alcune misure fiscali sbagliate, ma la direzione riformatrice e liberale e’ stata sostanzialmente chiara”.    

E con il procedere dei fatti ”l’Italia si è messa all’opera per arginare con senso di responsabilità e coraggio le velleità neocoloniali che alcuni circoli europei coltivano a proposito di una ristrutturazione dei poteri nazionali nell’Unione Europea. Il nostro futuro e’ in una Unione più solida e interdipendente, in un libero mercato e in un libero commercio illuminato da regole comuni che vanno al di la’ dei confini nazionali, in una riaffermazione di sovranità che e’ tutt’uno con la sua ordinata condivisione secondo regole di parità e di equità fra nazioni e popoli. Tutto questo – conclude – non può essere disperso. La continuità con lo sforzo riformatore cominciato diciotto anni fa e’ in pericolo serio. Una coalizione di sinistra che vuole tornare indietro alle logiche di centralizzazione pianificatrice che hanno prodotto la montagna del debito pubblico e l’esplosione del paese corporativo e pigro che conosciamo, chiede di governare con uno stuolo di professionisti di partito educati e formati nelle vecchie ideologie egualitarie, solidariste e collettiviste del Novecento. Sta al Popolo della Libertà, al segretario Angelino Alfano, e a una generazione giovane che riproduca il miracolo del 1994, dare una seria e impegnativa battaglia per fermare questa deriva”.

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