Berlusconi show “rischiatutto”: il premier sbarca a Lampedusa

ROMA –  La mossa è di quelle da giocatore d’azzardo consumato: prendere l’aereo e andare nel cuore dell’emergenza, nell’isola di Lampedusa soffocata dalla pressione da migliaia di migranti. Silvio Berlusconi ha deciso: mercoledì non ci sarà consiglio dei ministri ma il presidente “sceso in campo” andrà sul terreno dell’emergenza assoluta.

A Lampedusa lo attende una situazione da brividi: oltre 6000 immigrati (un migliaio in più della popolazione locale), il municipio occupato, le donne incatenate e gli uomini infuriati. Non solo: ci sono acqua e cibo che scarseggiano e, ogni giorno che passa, aumenta il rischio delle epidemie.

Berlusconi va sull’isola sapendo che non sarà accolto a rose e fiori. Eppure decide che le “chiacchiere” sul come affrontare l’emergenza profughi possono attendere e che è ora di metterci la faccia. Perché? Innanzitutto perché a Lampedusa non arriverà solo. Il giorno dell’arrivo del premier è il giorno, previsto, dell’arrivo delle sei navi che dovrebbero “svuotare” l’isola dai migranti. Della serie: arrivo io e risolvo il problema. Operazione “cosmetica” concepita ad hoc per far dimenticare che i 6.ooo profughi a Lampedusa si sono accumulati anche perché il Governo (con tutte le attenuanti del caso viste le cifre degli sbarchi) non è intervenuto prima.

Il piglio decisionista, poi, serve anche a mettere in secondo piano tutto quello che di Lampedusa si dice a Roma. Berlusconi è “stritolato” tra tre posizioni lontane, baricentro di un triangolo i cui vertici sono Napolitano, Bossi e Maroni.

Il vertice, più alto, il presidente della Repubblica oggi ha parlato chiaro: “A Lampedusa la situazione è inaccettabile”. Quindi un appello a tutte le Regioni a fare la loro parte accogliendo i profughi. Accogliere, appunto. Il fulcro della posizione del Capo dello Stato, consapevole che, in questa situazione, è impossibile limitarsi ad una semplice politica di chiusura. Napolitano non ha il problema e la pressione del consenso: con questa libertà può dire quello che l’Italia deve fare, senza se e senza ma, prima di tutto aiutare i disperati. Il presidente invoca lo “spirito di solidarietà e di coesione” e sottolinea che “tutte le Regioni devono fare la loro parte” senza che nessuno possa anche solo pensare di tirarsi indietro. Concetti chiari che suonano anche come un messaggio palese al governo: l’ipotesi dei “respingimenti di massa” non può essere neppure presa in considerazione.

Il vertice più lontano da Napolitano è, però, l’alleato più stretto di Berlusconi, quell’Umberto Bossi da cui l’esistenza della maggioranza dipende in modo irrinunciabile. E Bossi non la pensa esattamente come il Capo dello Stato: ”Fora da i ball” è quello che ha detto ai cronisti parlando dei profughi.  E anche a proposito dell’accoglienza dei profughi nelle Regioni del nord la risposta del leader leghista non è musica per le orecchie di Napolitano. “Troppo lontani da casa” spiega il Senatur che aggiunge: ”Nessuna regione è contenta di prendere i migranti. La prima cosa è portarli dall’isola a casa. Ma queste sono cose che Maroni conosce a menadito…”.

Maroni, appunto. Il terzo vertice. Il vertice che sa benissimo che imbarcarli e riportarli a casa come vorrebbe Bossi, semplicemente non si può fare. Ci sono regole precise per i rimpatri e l’Italia non può violarle, neppure nell’emergenza. Pena, il passare per un Paese “barbaro”. Maroni sa che la questione dei richiedenti asilo è delicata e che non si può semplicemente fare “un pacco” e mandare tutti a casa. I rimpatri, poi, ci saranno. Ma non è questa la priorità.

Berlusconi è in mezzo a queste tre posizioni: il cervello e il cuore di Napolitano, il “ventre” di Bossi, il “braccio” di Maroni. Rispetto a tutto questo, paradossalmente, andarsene a Lampedusa potrebbe regalare al premier una giornata “tranquilla”.

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