Bersani e il nuovo Pd: ex popolari in fermento

Pubblicato il 7 Novembre 2009 - 18:07 OLTRE 6 MESI FA
Pierluigi Bersani

Pierluigi Bersani, eletto segretario del Pd

Con Pier Luigi Bersani, segretario, al volante e Rosy Bindi, presidente, al posto della suocera, il Pd è ripartito dall’assemblea  dei mille delegati riunita sabato alla Fiera di Roma. Un posto di vertice è andato anche a  Enrico Letta, bersaniano della prima ora, che è stato eletto a larga maggioranza vicesegretario. L’avvio è stato anche un po’ musicale:  “La nostra storia prenda nel paese il respiro di una grande canzone popolare”, ha detto Bersani e dagli amplificatori è partita la colonna sonora del nuovo corso: un mix tra ‘Senso’ di Vasco Rossi, scelta da Bersani per il congresso, e poi la ‘Canzone Popolare”, musica dei tempi dell’Ulivo di Romano Prodi.

Poi cominciano i problemi. Per il neo segretario ci sono delle luci, come il fatto che non ha lasciato il Pd Luigi Lusi, tesoriere della Margherita e finora uno degli uomini più vicini a Rutelli, entrato nella Direzione nazionale. Lusi in realtà aveva sostenuto nelle primarie Dario Franceschini, nelle cui liste è stato eletto all’Assemblea nazionale; e per la componente franceschiniana è stato eletto nella Direzione. Lusi era stato indicato nei giorni scorsi tra i parlamentari che avrebbero potuto uscire dal Pd dopo la fuga di Rutelli. E fin qui un sospiro di sollievo. Altro ingresso significato nella direzione, ma scontato e sicuro, quello del deputato Antonio Misiani che è stato anche eletto tesoriere del partito.

L’area cattolica è però in fermento e anche se Enrico Letta prevede che le acque torneranno calme nel giro di un paio di settimane, i segnali sono un minimo preoccupanti.

Le trattative erano andate avanti fino a tarda notte per la composizione della direzione e degli organigrammi: è stata trovata un’intesa tra le varie componenti in modo da eleggere un organismo che rappresenti sia le regioni che le mozioni in termini proporzionali. In pratica è stato scelto un meccanismo per il quale ogni otto delegati di ciascuna mozione in ogni regione ha espresso un membro della direzione. Più in alto mare il discorso che riguarda la gestione del partito, con gli ex popolari vicini a Beppe Fioroni e Franco Marini che chiedevano un posto come vicesegretario, richiesta che Bersani ha respinto.

Marini ha insistito fino all’ultimo: “La struttura che stiamo prefigurando qui  lascia scoperta un’area, quella appunto degli ex Popolari che hanno sostenuto Franceschini. Né si può dire che essa è marginale, perché la mozione ha ottenuto il 35% dei voti. “Stasera andrò a cena da mio figlio – ha proseguito Marini – che è un giovane vivace e mi chiederà: ‘Te le hanno date le chiavi di casa?’. Mi fa girare le scatole aver difficoltà nel dire che le chiavi ce le hanno date”. Insomma, ha aggiunto Marini, “quest’area aveva diritto ad un punto di riferimento”. “Le soluzioni ci sono – ha sottolineato – per esempio quella di un secondo vice segretario, che è previsto dallo statuto. Questa questione va affrontata e se io avessi i poteri direi al segretario di affrontarla subito. Guai – ha concluso – a sottovalutare questo problema, e comunque io non ve lo farò sottovalutare”.

Ma Bersani ha nei fatto risposto picche. Da vecchio militante sindacale, Marini ha poi chiuso la strada a eventuali speculazioni: “Rivendico con orgoglio che il Pd è la nostra scelta, senza incertezza, e lo è stata sempre, nei momenti buoni e in quelli cattivi. Questa assemblea -è  il nostro approdo: dall’approdo non si riparte, si sta qui: lo dico a chi ogni tanto dubita”.

Più ambiguo Fioroni:  “Nella replica, Bersani ha sottolineato, anche rispetto alla fuoriuscita di Rutelli, la necessità di sintesi tra le varie culture. La preoccupazione resta, ma su molte cose, come la libertà di coscienza sui temi etici, il segretario è stato rassicurante”. Quanto ad un suo coinvolgimento nella squadra del partito, Fioroni si dice tranquillo e poi scherza: “L’unica cosa che nessuno è riuscito a farmi è stato lo sfratto da casa”.

I prossimi giorni e settimane faranno luce.

Nei suoi interventi di apertura e di replica Bersani ha toccato una serie di punti, partendo dallo slogan:  “Per l’alternativa”. In platea i mille neodelegati e tutti i big del Pd con eccezioni illustri: l’ex premier Romano Prodi, impegnato a Parigi, l’ex segretario Walter Veltroni e, come prevedibile, Francesco Rutelli, ormai al lavoro per altri percorsi politici.

Dicendo cose contraddette dal comportamento verso gli avversari, in particolare gli ex sostenitori di Franceschini, Bersani è stato roboante:  “Ho detto più volte che non credo al partito di un uomo solo ma ad un collettivo di protagonisti. Mi rivolgo a voi non come ci si rivolge ad una folla ma come ci si rivolge a largo gruppo dirigente del nostro partito corresponsabile con me di questa straordinaria avventura”.  Lo scopo è  “costruire il partito, preparare l’alternativa: sono compiti che richiedono un lavoro importante per durata e per profondità. E’ inutile cercare scorciatoie o immaginare strade senza inciampi”. Parole di buon senso, che rimandano a tempi migliori l’attacco frontale a Berlusconi.

Bersani ha detto di sentirsi “orgoglioso” perché insieme a tutti i militanti sta cercando di costruire un partito: “La nostra Costituzione – ha ricordato – parla di partiti e non di popoli” e il Pd vuole essere “un’altra modernità alternativa alla deformazione populista e plebiscitaria del nostro quadro politico e costituzionale”.

Il Pd, ha proseguito con parole in realtà un po’ fumose, in tema di riforme deve superare “un’impostazione difensiva o nobilmente conservatrice. Ci chiamiamo Democratici  perché poniamo al Paese il problema di una democrazia efficiente. Ci chiamiamo riformisti perché vogliamo le riforme. Noi rifiutiamo l’idea che il consenso venga prima delle regole, che la partecipazione democratica significhi eleggere un capo, che la società civile sia ridotta a tifoseria”.

Il Pd è quindi disposto a “un confronto trasparente nelle sedi proprie, e cioé nel Parlamento” su quattro punti: “Superamento del bicameralismo perfetto, Senato federale, riduzione del numero dei parlamentari, rafforzamento delle funzioni reciproche di governo e Parlamento”; una “coerente e moderna legislazione sui partiti” in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione; “nuova legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere i parlamentari, attraverso un confronto con le forze politiche a cominciare da quelle dell’opposizione senza escludere una legge di iniziativa popolare”; nuove norme sui costi della politica, con un po’ di ingenuità e demagogia.

Parole serie:  “La crisi non è psicologica, non è una nuvola passeggera, non l’abbiamo alle spalle. Nessuno vuol fare il pessimista o il catastrofista, ma pretendiamo che si riconosca che abbiamo un problema serio. Non si può pretendere che le rose del governo siano senza spine. Davanti a un’assunzione di responsabilità da parte del governo, noi non ci sottrarremmo a qualcuna di quelle spine. Ma se continuiamo a sentirci dire che il problema non c’é o che si può aggiustare con palliativi per diventa difficile discutere”.

“Propongo come prima iniziativa di mobilitazione del Pd un’assemblea di mille amministratori del Pd aperta ad amministratori di ogni schieramento per denunciare il federalismo delle chiacchiere ed affermare quello dei fatti perché non si pensi, a cominciare dalla Lega, di poter raccontare qualsiasi favola con noi che stiamo zitti”.

Fingendo di non aver capito che è una mezza bufala:  “Siamo orgogliosi che si discuta, pur in un percorso incerto e complesso, della candidatura di Massimo D’Alema. E’ una novità importante il fatto che questa candidatura sia emersa come indicazione politica delle forze progressiste europee e che questa proposta abbia avuto un aperto apprezzamento dalla quasi totalità delle forze politiche italiane”.

“Viviamo, a vent’anni dal crollo, del muro di Berlino una stagione ricca di enormi potenzialità ma anche gravida di contraddizioni e di pericoli”. Così, nel suo primo intervento da segretario, Pier Luigi Bersani, ricorda l’anniversario della caduta del muro di Berlino.

“Sono trascorsi vent’anni – afferma Bersani – dalle rivoluzioni del 1989 che posero fine al socialismo dispotico e segnarono un fondamentale spartiacque storico. Si è venuto delineando un mondo che ha conosciuto mutamenti profondi, una straordinaria rivoluzione scientifico-tecnologica, un mondo in cui hanno fatto irruzione Paesi come l’India e la Cina e che ha conosciuto processi di democratizzazione ma anche nuove fratture. Un mondo che non ha ancora incontrato un nuovo equilibrio”. L’ambizione dell’Europa, conclude il leader del Pd, “é di contribuire alla costruzione di un nuovo ordine mondiale di cui si avverte l’urgente necessità”.

Bersani ha invitato a non “descrivere la nostra politica come una coperta da tirare un po’ più al centro o un po’ più a sinistra”; “quel che vale  è il progetto, quel che vale è l’idea di Paese che si rivolge in particolare a quei ceti popolari dove la destra vince”. Per questo progetto-Paese, ha detto ancora Bersani, occorre “una sintesi di tutti i materiali straordinari, antichi e nuovi, che abbiamo a disposizione”.

“Il nostro problema – ha spiegato – è che nessuno rimanga fermo su quello che ha già avuto o che ha già vissuto e che ognuno faccia un patto e dia una disponibilità generosa al cambiamento. Avremo un partito plurale – ha concluso – ma non nel senso di attribuire ad ognuno una stanza della casa comune”.

“C’é ancora molto da fare per costruire il nostro partito. In questi due anni si è determinata una costituzione materiale che va corretta e migliorata. Convocherò subito la Direzione per discutere, prima degli organigrammi, lo stato del partito e come concepire un suo rafforzamento strutturale”.

Serve, sostiene Bersani, “un partito popolare e del territorio, che selezioni dal territorio le nuove classi dirigenti e che si radichi nei luoghi di studio e di lavoro”. Per questo, a fronte dei 70 circoli nei posti di lavoro e di 10 nei posti di studio, Bersani proporrà ai segretari regionali di fondare nei prossimi mesi 500 nuovi circoli nei luoghi di lavoro”.

Poi un po’ di politica vera:  “In vista delle elezioni regionali opereremo, nel rispetto della dimensione federale, per allestire coalizioni democratiche e di progresso che possano scegliere le candidature migliori, anche avvalendosi dei percorsi di partecipazione” con l’obiettivo ribadito di rivolgersi “con un’apertura ampia e generosa a tutte le forze di opposizione” per promuovere l’alternativa di governo: “E’ un percorso  non breve e certo non sarà senza inciampi ma tutti adesso sanno che possono discutere con noi in un clima costruttivo e di rispetto reciproco.

Questo vale per le forze in Parlamento (Idv, Udc, Radicali), sia per le forze che non sono in Parlamento (Sl, Verdi, formazioni di ordine socialista e repubblicana)”. C’è di più: “sui temi della democrazia abbiamo aperto un confronto anche con formazioni con cui non abbiamo prospettive di alleanza come rifondazione comunista”.

Un messaggio per i cattolici: “Sui ‘temi etici di frontiera’ il Pd non deve avere meccanismi che limitino la libertà di coscienza”, ma sul resto, un po’ di sano centralismo democratico berlusconian – comunista non farà male: meccanismi che arginino il dissenso interno devono riguardare le scelte concrete “come le questioni relative al tracciato di una strada o a un termovalorizzatore”.

“Se gli aspetti di confronto  non verranno messi in equilibrio con meccanismi coesivi, noi rischiamo fenomeni di anarchismo e di feudalizzazione”. Per questo occorrerà “meglio bilanciare l’ampia dialettica, l’assoluta libertà di pensiero, con l’esigenza di preservare l’autorevolezza e l’univocità delle posizioni del partito.

Ma questo non riguarderà i temi “etici di frontiera, che possono interpellare la coscienza in modo insuperabile”. “Non sarà certo difficile – ha aggiunto – trovare gli strumenti che riconoscano questo ambito, percepito per altro nel senso comune.

In realtà sulle questioni etiche il punto principale è nella dimensione culturale e politica e nella capacità nostra di mettere a frutto nella discussione lo straordinario bagaglio culturale che ci ispira, fatto di umanismi forti, laici e di ispirazione religiosa”, umanesimi che “dovranno aiutarci ad arrivare fino al punto in cui deve esercitarsi l’autonoma responsabilità della politica che ha un compito ineludibile: quello di rispondere con delle decisioni, per quanto transitorie e fallibili, alle esigenze del bene comune”.

“Certo le defezioni non fanno mai piacere, sopratutto quando avvengono in forme un po’ singolari. Sento dire qualcuno che dice: ‘il Pd cosi’ lascia un fronte scopertò. No, non abbiamo fronti scoperti, abbiamo una ricchezza di culture per tutta l’area del centrosinistra”.

Per bilanciare un po’ il tutto, Bersani ha concluso di non temere la discussione interna nel partito: ha le “spalle larghe”: “Finito il congresso  torna la politica e bisogna che torni la discussione politica. Ne avremo anche di più di quella vista oggi. La discussione politica  è tutta salute in un partito che vuole essere popolare. Le amicizie si rompono quando non si discute e la discussione è il principale meccanismo coesivo”.

E poi, per chi vuole capire: “Uno che pensa di non avere le spalle larghe per reggere la discussione non si sarebbe candidato a guidare il partito, e io ho voglia di discutere”.