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Bersani-Monti, alleanza che naufraga sul primo scoglio. Scoglio chiamato Vendola

di Emiliano Condò |6 Giugno 2022 9:38

ROMA –  L’alleanza “sicura”, quella “già fatta”, quella del “fanno finta di discutere ma sono già d’accordo” si arena sul primo ostacolo, quello che risponde al nome di Nichi Vendola. E’ bastato il tempo di guardare i titoli dei giornali del mattino (da “Apertura di Bersani a Monti” del Corriere della Sera, al “Monti e Bersani pronti all’intesa” di Repubblica) e pensare che si fosse alla svolta. Falso. Uno li guarda e si aspetta che sia successo qualcosa, che Bersani abbia ceduto qualcosa da una parte e Monti dall’altra. Invece no, falso anche questo. Non c’è nulla del genere, solo le parole che Bersani e Monti ripetono stancamente da settimane, ovvero la disponibilità a parlarsi dopo le elezioni. A contarsi in Parlamento e vedere se si può fare qualcosa o meno.

Trattasi di ciò che comunemente succede in tutte le democrazie occidentali: che partiti diversi, con progetti diversi, si accordino per governare insieme. E’ successo anche in Italia fino al 1994. Dopo si è iniziato a chiamarlo “inciucio” e nella percezione della pubblica opinione è diventato qualcosa che ha a che fare con l’aspetto deteriore e perché no, mangereccio, della politica.

Sta di fatto che l’intesa annunciata e data per fatta persino da uno scandalizzato Silvio Berlusconi che, da artefice principale della Repubblica delle contrapposizioni frontali,  in mattinata parlava pubblicamente di “inciucio confessato”.

Poi, però, è arrivato l’imprevisto che tanto imprevisto non è, ovvero Nichi Vendola. Il leader di Sel è alleato del Pd e parte integrante del centrosinistra. Non è notizia di oggi, o almeno non dovrebbe esserlo visto che alle primarie è stato anche candidato premier.  Ora Vendola, fa esattamente la sua parte e ricorda a Bersani che M0nti e quella porzione di centrosinistra che lui rappresenta sono inconciliabili. E il leader di Sel non mente: basti ricordare le prese di posizione contro l’austerity e il fiscal compact, il desiderato referendum contro l’articolo 18. Vendola lo dice da settimane: se Monti politico vuole collaborare a smontare ciò che Monti tecnico ha costruito si accomodi. Ma fuori dal governo e sostanzialmente gratis, senza nulla in cambio. Altrimenti non se ne fa niente.

Monti ascolta, registra e da Verona sentenzia nel solo modo possibile. Bersani faccia una scelta: o il polo dell’articolo 18 o il suo. Non lo dice ovviamente così, ma invita semplicemente il leader del Pd a fare una scelta.

Dato che a tutto c’è un limite a questo punto Bersani decide che l’unica certezza del centrosinistra, ovvero l’alleanza con Sel, non si tocca. Già i sondaggi, tra campagna elettorale pericolosamente ferma ai tempi delle primarie e una presunta “concretezza”  che fatica a toccare il cuore degli italiani, non sono benevoli con il Pd. Stesso si può dire per Monti che non si schioda dal 12%. Il dato numerico è impietoso: l’alleanza Monti-Bersani fa perdere punti ad entrambi. E allora perché insisterci se la sola alleanza certa e dichiarata è quella di Bersani con Vendola?

“Il nostro polo non si tocca” è la posizione di Bersani. E con Monti, si precipitano a dire tutti, torna il freddo. Ma a rileggere quanto successo è il “caldo”, l’accordo fatto, a essere il frutto di un’immaginazione un filo troppo creativa.

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