ROMA – Bonus di 80 euro in busta paga per i lavoratori dipendenti che guadagnano fino a 25mila euro, un regalo o una fregatura? Gli italiani continuano ad interrogarsi, anche se il presidente del Consiglio, Matteo Renzi non smette di esaltare la misura.
Scrive De Francesco:
“Avere 80 euro in più in busta paga per almeno otto mesi è un bonus che giustifica una pensione più povera? I circa dieci milioni di lavoratori dipendenti che percepiranno la «mancia»del governo Renzi dovrebbero porsi anche questa domanda.
Il taglio del cuneo fiscale, infatti, può trasformarsi in una fastidiosissima partita di giro: si spende oggi per risparmiare domani. Ma proprio su un capitolo decisivo come quello previdenziale. Il perché è presto spiegato. Il decreto varato venerdì dal Consiglio dei ministri, secondo quanto si legge nella bozze, prevede che il tanto agognato bonus sia un «credito» e non una «detrazione». Le parole, in questo caso, sono importanti perché indicano che è compito del datore di lavoro (che in gergo fiscale si chiama «sostituto di imposta») individuare l’area nella quale effettuare il prelievo degli 80 euro da aggiungere alla busta paga.
(…) Se le ritenute Irpef non fossero sufficienti a reperire l’ammontare del bonus, il datore di lavoro potrà «estrapolare » i soldi dai contributi previdenziali, cioè dalla somma che in busta paga viene trattenuta dal reddito lordo e versata all’ente previdenziale ( nella maggior parte dei casi l’Inps) per costruire la futura pensione.
(…) Se nella busta paga del dipendente le ritenute Irpef non superano gli 80 euro, il datore di lavoro può autonomamente decidere di prelevare in tutto o in parte quella cifra dai contributi previdenziali.
Si tratta del dispositivo che era stato studiato anche per il bonus da destinare a incapienti (coloro che hanno un reddito annuo lordo inferiore a 8mila euro e pertanto non pagano tasse, ma i contributi previdenziali li versano ugualmente) e lavoratori autonomi. Con un taglio di 3-4 punti dell’aliquota contributiva gli 80 euro sarebbero pressoché garantiti, ma che ne sarebbe delle pensioni?
Le vecchie bozze prevedevano una semplice comunicazione all’Agenzia delle entrate che successivamente avrebbe dovuto provvedere,a sua volta,a notificare la situazione all’Inps o a un altro ente. Questi ultimi constatano solamente che manca all’appello parte dei contributi della posizione del lavoratore. Allo Stato toccherà poi farsi carico di sanare lo sbilancio versando la parte residua. Ci si può fidare? Se ci si basasse sugli esempi del passato, la risposta dovrebbe essere negativa”.
De Francesco spiega poi un altro rischio: quello di un aumento delle aliquote contributive.
“Ora se si guarda bene a quegli 80 euro, il rischio non è soltanto quello di una pensione a cui potrebbe mancare qualche «pezzo » (non trascurando che – con le attuali regole- solo i più fortunati otterranno il 60% dell’ultimo stipendio) ma soprattutto quello di vedere che lo Stato prende con una mano ciò che dà con l’altra. Non si tratta del taglio alle detrazioni per il coniuge a carico e della stangata sulla Tasi, ma di un aumento delle aliquote contributive che generalmente rappresenta il modo più veloce per gestire eventuali «crisi»”.
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