BUJUMBURA – L’ala giovanile del partito al potere in Burundi – con il Ruanda la terra dei watussi o tutsi e nel 1994 teatro di stragi e genocidio – è accusata di stupri di gruppo nei confronti di donne e ragazze, minacciate con la pistola e il coltello poiché legate ad attivisti dell’opposizione.
Decine di sopravvissuti si sono fatti avanti per raccontare le loro strazianti storie su brutali aggressioni nel corso dell’ultimo anno, da quando un’ondata di proteste ha coinvolto il paese dell’Africa centrale.
Molte donne, prima di essere violentate, sono state legate e picchiate, la maggior parte delle volte con i loro bambini ancora nelle vicinanze, secondo quanto afferma Human Rights Watch.
Alcuni tra gli stupratori erano – o erano vestiti come – agenti di polizia, mentre un certo numero di donne hanno individuato nei loro aggressori gli Imbonerakure, l’ala giovanile del partito al potere.
Una donna di 36 anni, ha rivelato quando detto dal suo aggressore: “Uccidiamola, è la moglie di un FNL (Fronte Nazionale di Liberazione, principale partito di opposizione) quando, nell’ottobre 2015, l’hanno violentata tre Imbonerakure.
I tre hanno portato via il marito e il corpo è stato ritrovato in un fosso il giorno successivo.
Altre donne hanno raccontato il modo in cui sono state violentate mentre cercavano di fuggire attraverso il confine con la Tanzania e sembra, da agenti di polizia o Imbonerakure che hanno poi detto loro di tornare a casa.
E queste donne hanno dovuto subire non solo con le ferite del momento ma anche con gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili. Almeno in caso, la vittima è stata contagiata dall’HIV.
Human Rights Watch ha intervistato più di 70 vittime di stupro nei campi in Tanzania ma le cifre indicano che il numero è di gran lunga superiore.
Tra giugno e ottobre dello scorso anno, sono state segnalate all’UNHCR 177 aggressioni da parte dei membri delle forze di sicurezza o dell’ala giovanile, mentre 16 sono state presumibilmente violentate da agenti di polizia.
Human Rights Watch ora chiede alla comunità internazionale di fare di più per garantire a queste donne protezione e accesso alle cure di cui hanno bisogno.