ROMA – Nove gennaio 2015, Camera dei Deputati. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano è là per fare il punto della situazione sulla strage di Parigi. Ovvero sul fatto di cronaca che da due giorni domina il dibattito pubblico mondiale. Dovrebbe essere un tema che riguarda tutti. E invece la Camera è semivuota. Ci sono più o meno un quarto dei deputati del principale partito di Governo, il Pd. Tra gli altri gruppi i presenti sono ancora meno. Pochissimi quelli del Pdl e delle forze centriste. Pochi (ma rumorosi) quelli del Movimento 5 Stelle. A fare eccezione, e presente in massa, c’è la Lega Nord. Che sfrutta l’occasione per contestare e accusare il governo di “collaborazionismo coi terroristi”. Polemiche a parte resta il fatto: la Camera vuota mentre si informa su quello che sta succedendo a Parigi.
Due giorni prima. Sette gennaio 2015. A Parigi i due fratelli killer entrano nella sede di Charlie Hebdo e massacrano 12 persone. Il tempo di capire, almeno in parte cosa sia successo e in tutto il mondo le persone iniziano a scendere spontaneamente in piazza. In quasi tutto il mondo. Succede ovviamente a Parigi, la capitale colpita al cuore dall’attacco. Ma succede, come registra sulla Stampa Vladimiro Zagrebelski, a Berlino, Londra, Vienna, Bruxelles, Tirana (Albania), Lima (Perù), Pristina (Kosovo), Buenos Aires.
Non succede in Italia: né a Roma, né a Milano, né in nessuna altra grande o piccola città. Succederà, sì, ma solo il giorno dopo e su convocazione. A Roma, per esempio, con la fiaccolata promossa dalla Federazione Nazionale della Stampa. Ma è già altra storia, perché si tratta comunque di manifestazione organizzata. Spontaneamente gli italiani hanno saputo, riflettuto, e deciso di tenere le matite negli astucci e le loro terga sulle poltrone.
Italiani anaffettivi, dunque, rispetto al massacro di Parigi. Come se fosse un fatto “francese” e non di tutti. Come se fosse semplicemente un generico “attentato” e non un attacco alla libertà che è, almeno in teoria, fondamento della nostra stessa civiltà. Gli stessi italiani erano legittimamente scesi in piazza quando c’erano da tirare le monetine a Bettino Craxi, o quando era caduto il governo Berlusconi. Scelte assolutamente lecite. Lascia però interdetti questa assenza di reazione a difesa della libertà. Come se, in caso di assenza di un nemico “tangibile” in un territorio percepito come il nostro, il Berlusconi in Italia, non valesse la pena di sforzarsi di scendere in strada.
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