Casini darà al Pd la maggioranza al Senato per governare?

Pubblicato il 3 Febbraio 2013 - 12:09 OLTRE 6 MESI FA
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Pierferdinando Casini

La rincorsa elettorale di Silvio Berlusconi e del suo Pdl, che mette in qualche modo a rischio il primato del Pd, che sembrava ormai sicuro, è al centro di una analisi di Eugenio Scalfari, dedicata al caso in cui vinca “il cavallo del cavaliere”, il partito di Berlusconi con i suoi alleati, Lega Grande Sud, Destra, Fratelli d’Italia. È l’unico tra i partiti in pista che corre

“per vincere in tutte e due le Camere”, mentre “gli altri non hanno speranze per la Camera, ma possono creare una situazione di ingovernabilità al Senato e quindi una paralisi parlamentare con tutte le conseguenze del caso: la lista civica di Monti con i suoi alleati e Ingroia”.

Grillo, avverte Scalfari,

“è un caso a parte. Potrebbe arrivare terzo e perfino secondo ma è molto difficile pensare che divenga primo. E poi i grillini in Parlamento subiranno inevitabilmente una radicale trasformazione; il Parlamento è la sede d’un potere costituzionale, quello legislativo. Voteranno contro tutte le leggi? Vorranno abolire tutte quelle esistenti? Il Movimento “5 stelle” è un’incognita, il suo bacino elettorale è quello degli indecisi che attualmente viaggiano attorno al 10 per cento. La pesca di Grillo si svolge in quel bacino, ma non è il solo. Nel migliore dei casi potrebbe arrivare al 20 per cento e sarebbe un successo enorme ma comunque non sufficiente a dargli la vittoria”.

Anche se “superare il 20 per cento e magari arrivare al 25 è anche il traguardo vagheggiato da Monti”, in realtà

“il solo che può oltrepassare quel traguardo è Berlusconi. È lui l’inseguitore del Pd e dunque che succederebbe se l’inseguitore raggiungesse e superasse l’inseguito?”

è la domanda inevitabile quanto angosciante. E la risposta fa paura:

“Se questo dovesse accadere crollerebbe in misura catastrofica la credibilità europea e internazionale del nostro Paese; i mercati si scatenerebbero e lo “spread” tornerebbe alle stelle. L’ipotesi di un Berlusconi vincente che riuscisse a “domare” Angela Merkel, cioè la Germania, è puro infantilismo. Accadrebbe però che la Lega conquisterebbe un potere decisivo e spaccherebbe con le sue proposte il Paese in due. Qualora la Germania non si accucciasse ai piedi del redivivo, il Cavaliere ha già previsto ed ha pubblicamente dichiarato che la lira come ritorsione uscirebbe dall’euro. Forse coloro che abboccando alla demagogia berlusconiana pensano che prima o poi l’asino volerà, non hanno ben chiaro che cosa significa il ritorno alla moneta nazionale: le banche americane e la speculazione giocherebbero a palla con la liretta, roba da emigrazione forzata, ma se il Pd non vincerà è esattamente questo che accadrà. Ci sono altre alternative?

Sottinteso a quel che segue è il fatto che né il Pd né Berlusconi sarebbero comunque probabilmente in grado di governare da soli e per raggiungere la maggioranza al Senato dovrebbero ricorrere ad alleati. Prima domanda:

“Gli altri partiti potrebbero allearsi con il redivivo vincitore? Monti per esempio? Monti ha governato un anno con la “strana maggioranza” che comprendeva anche il Pdl. Vero è che in quell’anno Berlusconi era praticamente scomparso, oggi viceversa è tornato in scena. Quanto a Monti, ha già dichiarato di essere disposto a ripetere l’esperienza dell’anno scorso sempre che il Cavaliere torni a fare il morto. Ma se il Cavaliere fosse il vincente delle elezioni possiamo star certi che il morto non vorrà tornare a farlo. Oppure potrebbe anche cedere a Monti la presidenza, perché no? Invierebbe a controllarlo il suo cameriere Angelino. Quanto a lui chiederebbe ed otterrebbe un salvacondotto onorifico”.

La seconda domanda riguarda il Pd in un ruolo di alleato di Berlusconi ma la risposta finisce da un’altra parte, nella polemica contro Monti e la derivata anticomunista in stile Berlusconi che la sua campagna sembra avere preso. Il Pd sarebbe per Berlusconi una

“ruota di scorta benvenuta, ma senza Nichi Vendola per rompere definitivamente con la propria genealogia politica che – come lo stesso Monti ha affermato – comincia con la nascita del Pci a Livorno nel 1921. Comunisti senza soluzione di continuità, partito vecchio come tutti gli altri salvo la lista civica montiana. E salvo Ingroia, Monti se l’era dimenticato. Anche Ingroia è nuovo di zecca e infatti anche lui non sopporta il vecchio Partito comunista camuffato da riformista e anche lui, da sponda opposta, lavora affinché il Pd affondi”.

Il ricordo della radice comunista del Pd, in puro Berlusconi style, non è andato giù a Scalfari, che ne riconosce la validità ma non apprezza il trucchetto elettorale:

“Quando Monti ha parlato del Pci come del progenitore del Pd, ho visto che accanto a lui c’era il ministro Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio che approvava annuendo con la testa; evidentemente pensava ai tempi beati della Dc e non mi è affatto piaciuto. Dovrebbe ricordare – Riccardi – che Moro fece l’accordo con Berlinguer per governare il Paese in un momento di gravi difficoltà e per questo ci rimise pure la vita. Vendola, me lo lasci dire il buon Riccardi, il Berlinguer di allora lo tratterebbe come un figlioccio un po’ più moderato di quanto lui non fosse”.

E veniamo al nodo cruciale, il Senato. Lì, però, il discorso è diverso,  avverte Scalfari, che introduce una nuova variabile, quella del comportamento di Pierferdinando Casini, non nuovo a passi laterali, da quello più clamoroso dell’abbandono di Berlusconi a quello, meno noto, del gioco tirato alla sinistra nel Lazio dopo lo scandalo Marrazzo:

“Non c’è soltanto Monti, c’è anche Casini e non è affatto detto che sia in tutto e per tutto allineato con Monti. Probabilmente, se il Pd vincerà alla Camera ma il Senato fosse senza maggioranza, Casini l’alleanza con Bersani la farebbe e la governabilità sarebbe assicurata, gli impegni con l’Europa mantenuti, la politica economica europea e italiana orientate verso la crescita. Ecco perché il centrosinistra deve vincere”.