ROMA – Caso Ablyazov, la vicenda dell’espulsione di Alma Shalabayeva e di Alua, moglie e della figlia del dissidente latitante kazako Mukhtar Ablyazov, rischia di travolgere il governo Letta. La cosa da un’idea delle assurdità della politica italiana, dei suoi più o meno oscuri regolamenti di conti e anche del distacco dell’apparato giornalistico dai problemi reali della gente.
Dalla prima pagina di Repubblica, il direttore Ezio Mauro, di lunedì mattina, chiede le dimissioni del ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio, Angelino Alfano, mentre al ministero dell’ Interno, dove da poco è cambiato il capo della Polizia, si da per imminente il taglio di teste importanti: cinque secondo Francesco Grignetti della Stampa, quattro a quanto riporta Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera.
Nei giorni scorsi erano stati Sel e Movimento 5 Stelle ad annunciare di voler presentare due mozioni per chiedere le dimissioni di Alfano. Domenica si è aggiunto il segretario della Lega, Roberto Maroni, che ha detto: “C’è una responsabilità politica o un’omissione molto grave del Governo”.
Anche se tutti sanno, da che mondo è mondo, che il mestiere delle opposizioni è chiedere le dimissioni dei ministri, la cosa nella Italia di luglio 2013 ha il potere di mettere tutti in fibrillazione.
Nel frattempo il presidente del Consiglio, Enrico Letta, torna a dire che “chi ha sbagliato pagherà”, rivelando una capacità degna di canne al vento ma non una grande tempra di statista.
L’indagine interna avviata dal nuovo capo della polizia Alessandro Pansa dovrebbe arrivare in questi giorni. Poi Alfano dovrà riferire in Parlamento. Dovrà spiegare perché la notte del 29 maggio 40 uomini in assetto anti-sommossa hanno fatto irruzione nella casa di Alma Shalabayeva, a Casal Palocco, alla periferia di Roma, hanno prelevato lei e la figlia e le hanno caricate su un jet privato e rimpatriate in Kazakstan, dritte nelle mani del presidente-dittatore Nursultan Nazarbayev, che dal 1990 regna indisturbato sull’ex Paese sovietico e sulle sue riserve di gas naturale.
Mukhtar Ablyazov è stato per molto tempo il pupillo di Nazarbayev, poi hanno litigato e Ablyazov si è rifugiato in Gran Bretagna, inseguito dalla accusa di avere rubato miliardi di dollari, cosa che lo ha fatto diventare dissidente.
La situazione, sul ronte della politica interna italiana, è che se Alfano fosse costretto alle dimissioni, il Governo probabilmente cadrebbe, con conseguenze disastrose per la precaria economia italiana e per il nostro immediato futuro.
Questo non impedisce la bagarre. Dal quotidiano Repubblica il direttore Mauro chiede comunque le dimissioni del ministro dell’Interno:
“Alfano, vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno, ha pubblicamente dichiarato che non sapeva nulla di una vicenda che ha coinvolto 40 uomini in assetto anti-sommossa, il dipartimento di Pubblica Sicurezza, la questura di Roma, il vertice – vacante – della polizia. Un ministro che non è a conoscenza di un’operazione del genere e non controlla le polizie è insieme responsabile di tutto e buono a nulla: deve dunque dimettersi”.
Sul Corriere della Sera, invece, Fiorenza Sarzanini offre un punto di vista diverso.
“Non si placa l’ira del ministro Angelino Alfano contro chi «ha esposto me e l’intero governo, mettendoci in una situazione di gravissima difficoltà». La sua decisione dovrebbe arrivare entro due giorni, al termine dell’indagine affidata al capo della Polizia Alessandro Pansa. In cima alla lista c’è Giuseppe Procaccini, il capo di gabinetto dello stesso ministro che incontrò il diplomatico e attivò la procedura per il blitz nella villetta di Casal Palocco. A rischio anche la posizione del prefetto Alessandro Valeri, il responsabile della segreteria del capo della Polizia, così come quella del questore di Roma Fulvio Della Rocca. Nell’elenco potrebbe essere inserito il funzionario della prefettura che firmò il decreto di espulsione. E non solo.
Scrive ancora Sarzanini, ricostruendo la dinamica di quei giorni di fine maggio-inizio giugno.
La mattina del 28 maggio Valeri riceve l’ambasciatore, così come gli aveva chiesto Procaccini, e fissa per lui un appuntamento in questura. Certamente ne parla con il vicecapo della Polizia Francesco Cirillo dal quale dipende l’Interpol. E anche l’allora capo della Polizia «reggente» Alessandro Marangoni viene informato sulla decisione di predisporre un blitz per la cattura di Ablyazov. Valeri specifica che la procedura è partita dal gabinetto del ministro e questo fa ritenere che non sia necessario parlarne direttamente con Alfano. Eppure quanto accade nei due giorni successivi ha risvolti incredibili. Il blitz fallisce perché Ablyazov non è in casa. Gli agenti portano via sua moglie, la accusano di avere documenti falsi e la trasferiscono nel centro di accoglienza di Ponte Galeria. Lei è terrorizzata, mostra il passaporto con il nome da nubile. Spiega di avere l’immunità diplomatica, ma è la Farnesina, con un fax poi allegato agli atti, a negare che goda di questo privilegio. In appena due giorni la procedura si chiude e scatta il rimpatrio.
Ed ecco l’ulteriore anomalia di questa assurda vicenda. L’ufficio immigrazione predispone il rientro della signora e di sua figlia con un volo di linea che fa scalo a Mosca, scortate da quattro agenti. I diplomatici kazaki propongono però un’alternativa: utilizzare un volo diretto. La legge parla di «mezzo idoneo», la questura chiede il via libera al Dipartimento. E lo ottiene. Come è possibile che nessuno si sia insospettito di fronte alle pressioni dell’ambasciatore Yelemessov di procedere con la massima urgenza?”
Secondo Fiorenza Sarzanini, che sostiene una tesi un po’ stravagante almeno stando all’italiano che scrive,
“un jet privato non è certamente un «mezzo idoneo» al rimpatrio di una clandestina, eppure i vertici del Viminale hanno dato l’ok. «Appena informato – assicura Alfano – ho compiuto i passi necessari per avere la certezza che la signora fosse al sicuro. Il nostro scopo è farla tornare in Italia». Un obiettivo che ormai appare davvero difficile da raggiungere”.
Secondo quanto scrive Francesco Grignetti sulla Stampa, a rischiare il posto sarebbe in cinque. E ricorda i rapporti tra il presidente kazako Nazarbayev e l’ex presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi.
E’ ormai assodato, infatti, che l’ambasciatore kazako sia andato a bussare a diverse porte, tra il 27 e il 28 maggio, per mettere le mani sugli Ablyazov. Nei suoi andirivieni tra gli uffici della polizia, è arrivato fino al capo di gabinetto del ministro, il prefetto Giuseppe Procaccini. E qui occorre descrivere chi sia, questo prefetto. Nominato nel giugno 2008 da Maroni, è rimasto nell’incarico anche con Annamaria Cancellieri e poi con Alfano. Con il tempo, Procaccini è divenuto una sorta di «dominus» del Viminale. L’uomo è ambizioso e ha sperato di succedere a Manganelli. Ha cercato appoggi politici. Nei corridoi del ministero, intanto, era nata una cordata «procacciniana». Un referente di Procaccini, da quel che si racconta, è Alessandro Valeri, capo della segreteria del Capo della polizia. Un’altra eminenza grigia.
Procaccini e Valeri erano ai vertici dell’apparato e negli ultimi mesi si sono mossi in grande autonomia. Forse troppa. Forse hanno pensato di poter guadagnare benemerenze aiutando il rappresentante del Presidente del Kazakhstan, di cui non era ignoto a nessuno il rapporto con Berlusconi?
I commenti sono chiusi.