ROMA – Il mistero dei cognomi di Alma Shalabayeva, moglie di Mukhtar Ablyazov, il cosiddetto dissidente del Kazakistan accusato del furto di miliardi di dollari, è l’ultima novità nella vicenda che rischia di mettere in crisi il Governo di Enrico Letta e che certamente si concluderà con una serie di cambiamenti ai vertici della Polizia di Stato che ha tutto il sapore di un rimpasto che al nuovo capo della Polizia Alessandro Pansa certo non può dispiacere, perché gli consentirà di circondarsi di persone più in sintonia con la sua linea di gestione, operazione che certo sarebbe stata più difficile senza il caso kazako. Pansa martedì 16 luglio ha consegnato la relazione su quel che è accaduto al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che giovedì dovrà riferire in Parlamento sul caso. Intanto alla richiesta di dimissioni di Sel e Movimento 5 Stelle si aggiungono le critiche della Lega, con Roberto Maroni che dice: “Non faccio valutazioni, dico solo da ex ministro dell’Interno che casi del genere erano gestiti dalla struttura con il coinvolgimento di tutti, anche ovviamente del ministro”.
La questione politica si è scatenata, con qualche mese di ritardo, sui modi della espulsione della donna verso il suo Paese, il Kazakistan, e gli italiani si interrogano perplessi sul senso della bagarre, mentre gli extracomunitari, specie se clandestini, si augurano che tanta attenzione e tanto garantismo commuovano i giornali, se non l’opinione pubblica, quando toccherà a loro.
IL COGNOME DI ALMA – In un articolo sul Corriere della Sera, Fiorenza Sarzanini cerca di districarsi nei meandri di una vicenda complessa, fornendo molti particolari e ostentando anche qualche ingenuità:
Sul passaporto esibito dalla donna al momento del blitz della polizia compare il suo cognome da nubile «Alya» ed è proprio questa l’identità trasmessa alla Farnesina al momento di chiedere se davvero godesse dell’immunità diplomatica come lei aveva dichiarato. Perché non si decise di fare un ulteriore controllo trasmettendo anche il nominativo completo, così come compariva nei documenti ufficiali messi a disposizione dalla diplomazia? Forse un ulteriore controllo avrebbe consentito di scoprire che si trattava della moglie di un dissidente. A meno che si fosse invece già deciso che non era necessario.
Il fatto è che nelle Repubbliche ex sovietiche, come appunto il Kazakistan, la moglie prende automaticamente il cognome del marito, declinato con una -a o -ya finale (come le signore Putina e Medvedeva, moglie rispettivamente del presidente e del premier russo Putin e Medvedev) e lo mantiene anche in caso di divorzio.
La presenza su documenti ufficiali di un cognome da nubile per una donna di un Paese che segue questa legislazione in fatto di documenti potrebbe far pensare la donna non sia sposata, visto che in questo caso avrebbe preso il cognome del marito. La moglie di un signor Ablyazov, di norma, dovrebbe chiamarsi Ablyazova. Come si vede dal nome della first lady del Kazakistan: da quando ha sposato, nel 1962, Nursultan Nazarbaev, la signora Sara Alpysqyzy è diventata Sara Nazarbaeva.
Al di là della dinamica dei fatti, quindi, certo se una persona con un minimo di conoscenza della legislazione sovietica tutt’ora in vigore nell’area dell’ex Urss si trova di fronte un documento ufficiale con il nome Shalabayeva non può pensare che la signora sia moglie di altri che di un certo Shalabayev.
QUESTIONE POLITICA – Intanto nel palazzo del Viminale, che ospita Ministro dell’Interno e capo della Polizia, circola una brutta aria.
Riferisce il Messaggero che sono in vista, ai vertici della Polizia,
“Avvicendamenti e anche vere e proprie rimozioni. La linea iniziale scelta dal capo della polizia Alessandro Pansa, era quella di ammettere alcuni problemi di gestione nell’ambito di una procedura di rimpatrio legale e sorvegliata anche dalla procura di Roma. E di dare l’assenso ad una serie di avvicendamenti, in parte accelerati rispetto alle scadenze iniziali, in parte previsti da tempo”.
Ma il ministro Angelino Alfano, le cui dimissioni continuano a essere chieste da Repubblica, non basta. Alfano vuole
“l’individuazione di «precise responsabilità» da portare in Parlamento durante l’audizione di giovedì alla Camera”.
Aggiunge il Messaggero:
“Lo scontro tra le due posizioni, da un lato Pansa e dall’altro Alfano, si sarebbe materializzato in una riunione di fuoco lunedì pomeriggio”.
“Il ministro degli Interni ha detto e ripetuto che gli avvicendamenti e il rinnovamento non possono bastare”.
Si può quindi prevedere che
“alla relazione del capo di Alessandro Pansa seguiranno delle vere e proprie rimozioni, alcune delle quali potrebbero riguardare anche la questura di Roma, dove spostare anche solo una casella potrebbe risultare un’operazione delicatissima e dalle conseguenze pesanti”.
La “purga” toccherà anche
“i funzionari che al vertice del Viminale avrebbero dovuto restare almeno per un altro anno, a cominciare da Giuseppe Procaccini, capo del gabinetto del ministro.
“Il testo della relazione conterrà una descrizione dettagliata dei quattro giorni che hanno portato all’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua, rimpatriate su un volo privato pagato dal Kazakistan. Rivendicando che dal punto di vista strettamente tecnico i passaggi sarebbero stati regolari e previsti dalle norme vigenti. La decisione sulle responsabilità da attribuire e sui nomi su cui potrebbe ricadere la colpa di quanto accaduto rimarrà nelle mani del ministro.
“Di certo, sono stati confermati alcuni avvicendamenti, forse da approvare nel consiglio dei ministri di venerdì. Tra i nomi “in bilico” l’ex capo vicario della polizia Alessandro Marangoni che potrebbe diventare prefetto di Milano o di un’altra delle sedi attualmente vacanti tra Bari e Palermo.
“Poi il capo della segreteria del Dipartimento, Alessandro Valeri: prossimo alla pensione, potrebbe essere sostituito da Vincenzo Panico, prefetto di Reggio Calabria.
“ll punto più delicato però sono le rimozioni pretese da Alfano. Che starebbe facendo pressioni in particolare sul suo capo di gabinetto, Giuseppe Procaccini. Ma di fronte a una decisione che possa travolgere solo la polizia, gli uomini che sono intervenuti la sera del blitz continuano a difendere il loro operato e ribadiscono la «correttezza dell’operazione già illustrata il 3 giugno nella relazione al governo»”.