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Caso Ablyazov, un piano per far cadere il governo Letta?

di Maria Elena Perrero |16 Luglio 2013 12:55

Mukhtar Ablyazov

ROMA – La vicenda di Alma Shalabayeva, moglie di Mukhtar Ablyazov, il cosiddetto dissidente del Kazakistan accusato del furto di miliardi di dollari, è un caso politico che ha assunto ormai contorni surreali. Ci si chiede come la stampa di un Paese a rischio default finanziario possa infiammarsi sulla procedura di espulsione di una donna e della sua figlia, che i poliziotti dicono e non ci sono ragioni per non credergli, che è stata svolta in modo corretto, come se ne fanno in numero sconosciuto ogni mese senza che venga proposta mozione di sfiducia contro il ministro dell’Interno.

Secondo il Giornale di Silvio Berlusconi, il “caso Kazakistan” fa parte di un “piano per fare cadere il Governo Letta”:

“Gli amici di Renzi chiedono la testa di Alfano, ma nel mirino c’è il Governo”.

Sottotitolo, a mo’ di avvertimento alla sinistra:

 “Ultimi sondaggi: Pdl e centrodestra tornano primi”.

A sostegno della tesi, Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, scrive:

“Della sorte della moglie e del­la­ figlia del dissidente kazako Ablyazov non im­porta a nessuno di coloro che in queste ore si stracciano le vesti per la loro espulsione, con rimpatrio, decisa in modo veloce e un po’ ambiguo dalle autorità italiane con il pretesto di documenti falsi.

“Non fac­ciamo i finti tonti. L’obiettivo della rivolta presunta civile capitanata, guarda caso, da Repubblica, non è la sicurezza di mamma e figlia, alle quali peraltro in Kazakistan nessu­no ha intenzione di torcere un capello e che vivono libere a casa loro. Lo scopo è fare più casino possibile per fare salta­re in aria il nostro governo, quell’asse Letta-Alfano che do­po il caos uscito dalle urne ha sbarrato la strada prima a Ber­sani e poi a Renzi.

“Fuori dal tempio il Pdl, e poi vada come vada, o per via elettorale o con ribaltoni parlamentari. Si spiega così l’assalto ad Angelino Alfano, ministro dell’In­terno e quindi possibile colpevole di un presunto pastic­cio: dimettiti, ha ordinato ieri il direttore della Repubblica in lacrime per la sorte delle due donne, ma soprattutto ben consapevole che «no Alfano, no governo». Allo scopo si sta piazzando la ben nota artiglieria mediatica e già si chiama in causa Silvio Berlusconi (senza non c’è gusto,allo scanda­lo manca il quid)”.

Stessi concetti, anche se con toni meno aggressivi, quelli esposti da Massimo Franco sul Corriere della Sera:

“La vicenda è opaca e, per molti versi, sconcertante, ma la pista kazaka mostra anche manovre per far cadere il governo Letta.

“Il problema è se il pasticcio del rimpatrio sia il frutto di una strategia segreta, accompagnata passo passo dai vertici; oppure se le «responsabilità politiche» evocate dall’opposizione nascano da passaggi inquietanti per la confusione e la sottovalutazione che rivelano”.

Il bersaglio, dice Massimo Franco è Alfano, e questo era “chiaro dall’inizio”. Lo avevano capito un po’ tutti quei pochi che hanno seguito un po’ basiti la polemica sia. Alfano,

“oltre che ministro dell’Interno, è vicepremier. E sia nella sinistra antigovernativa, sia in quei settori del Pdl che inseguono una crisi di governo, lo si vuole abbattere per far crollare tutto”.

Dell’aspirante plotone di esecuzione fa parte anche Matteo Renzi, il quale

“continua a prevedere una vita breve per il governo”.

Eppure, nota Massimo Franco, la filiera avversa al Governo

“è così scoperta che perfino una questione spinosa come quella del rimpatrio illegale della moglie e della figlia di un dissidente ha effetti contraddittori: può destabilizzare ma anche compattare un esecutivo troppo debole per permettersi le dimissioni di ministri-chiave.

“Per paradosso, la mozione di Movimento 5 Stelle e Sel finirà probabilmente per puntellare il governo. L’incognita del «fuoco amico», che ha interesse a affondarlo, in realtà è teorica: sia perché aprirebbe scenari così pericolosi da apparire un azzardo che nessuno si può permettere; sia perché sembra che non ci sarà il voto segreto chiesto dall’estrema sinistra nella speranza di armare i franchi tiratori”.

Certo Berlusconi non vuole far cadere il Governo. Secondo alcuni sarebbe pronto a tutto, anche a chiedere lui ad Alfano di dimettersi. Sarebbe il piano B di Berlusconi:

“Alfano, irritato e nervoso per la piega che ha preso la faccenda, ha a lungo parlato con Berlusconi ottenendo piena solidarietà. Eppure nel Pdl c’è chi è pronto a scommettere che Berlusconi, pur di tenere in piedi l’attuale governo, è disposto a tutto: a dimettersi da senatore se dovesse scattare l’ineleggibilità e a chiedere ad Alfano di fare come Scajola se la maggioranza dovesse rischiare”,

ha scritto il Messaggero.

Non vuole la crisi Berlusconi ma non la vuole nemmeno il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Finora non sono venuti segnali, ma da come si è mosso nella vicenda Kyenge, tutto fa pensare che la stabilità del Governo sia l’unica cosa che lo preoccupa.

Chi invece sembra avere un po’ perso l’orientamento è Repubblica. Lunedì c’è stato un editoriale del direttore Ezio Mauro che chiedeva, anche un po’ scompostamente, le dimissioni di Alfano, martedì altro editoriale, anonimo, ancor più trambasciato:

“Il Pdl è sceso in campo massicciamente, per attaccare “Repubblica”. Il risultato è desolante culturalmente, perché tutti ripetono come all’asilo le stesse frasi predisposte appositamente dalla “Struttura Delta” [piccola ossessione di Mauro, ndr] che interviene nei momenti di massimo pericolo. Ma è anche illuminante politicamente: perché nessun dato di fatto rivelato dall’inchiesta di “Repubblica” sullo scandalo kazako è stato smentito, o anche solo confutato. Tutto è vero, come sapevamo e come il Pdl ammette, e dunque tutto porta alla responsabilità politica e personale di un ministro dell’Interno, per di più vicepresidente del Consiglio, che ha trascinato il Paese in un’operazione vergognosa e umiliante, a favore di un satrapo ex sovietico che gode di complicità inconfessabili e spregiudicate anche nel nostro Paese”.

Nursultan Nazarbaev, il satrapo che garantisce l’occidente dalla formazione di una repubblica islamica nella ex repubblica sovietica, è stato il padrino di Ablyazov, il “dissidente” da miliardi di dollari che Repubblica ha santificato come quei poveretti persi nei gulag, scivolando un po’ sveltamente sul fatto che il martire è ricercato anche dalla magistratura inglese.

Conclude Repubblica:

“I casi sono due: se il ministro sapeva, deve dimettersi perché responsabile di tutto. Se non sapeva, deve dimettersi perché irresponsabile del tutto. Non c’è una terza via davanti all’indecenza di quel che è successo”.

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