Caso Marrazzo. Su Repubblica Giuseppe D’Avanzo non crede al ricatto e ipotizza la ricettazione per la Mondadori

marrazzoL’affaire Marrazzo assomiglia sempre di più alla fantomatica “nave dei veleni” a largo delle coste calabre. Il video c’è ma non si vede, l’estorsione è ipotizzata negli atti giudiziari ma c’è chi ne dubita.

Se le dimissioni del governatore segnano un punto fermo della vicenda, archiviato il quale si ricomincia da una nuova stagione politica alla Regione Lazio, le modalità del ricatto e i numerosi passaggi dei video incriminanti destano da parte del quotidiano La Repubblica ancora parecchi interrogativi.

A questo proposito, sulla Repubblica di venerdì 30 ottobre, Giuseppe D’Avanzo prende in esame i passaggi che scandiscono la tempistica della vicenda, dall’irruzione nella casa del trans alle telefonate di Berlusconi che avvertono Marrazzo.

D’Avanzo propone una lettura del caso che chiama in causa direttamente la figura di Silvio Berlusconi, questa volta nella sua veste di editore. Il fatto che la Mondadori abbia acquistato un video “frutto di illeciti o crimini”, si configurerebbe come reato di ricettazione, ai sensi dell’articolo 640 del codice penale. Per D’Avanzo è ragionevole pensare che la Procura di Milano – sede della Mondadori – debba avviare un procedimento su questa ipotesi di ricettazione.

Il teorema proposto da D’Avanzo poggia tutto su un’incongruenza che giudica fondamentale, illustrata dalla domanda posta da Carmen Masi, titolare dell’agenzia PhotoMasi di Milano: «Quale ricattatore cerca di rendere pubblico l’oggetto del ricatto?». Insomma per D’Avanzo l’ipotesi del ricatto non sta in piedi e la banda dei quattro carabinieri è “comandata” o “eterodiretta”. La tesi sostenuta daD’Avanzo è: “Devono solo incastrare il governatore e “sputtanarlo” pubblicamente. E per questo, invece di spremerlo ben bene, si acconciano subito per piazzare il video nelle grandi agenzie di comunicazione, giornali, settimanali, televisioni”.

In tutto questo cosa c’entra il presidente del Consiglio? Anche qui D’Avanzo offre un’ipotesi suggestiva, che spiegherebbe l’interessato coinvolgimento del premier. Contestualmente alla presa di possesso del video, attraverso il direttore di Chi, Alfonso Signorini, in virtù dell’altissima carica istituzionale che ricopre, viene informato il 19 ottobre da magistrati e carabinieri dell’esistenza di “un video del presidente” che potrebbe coinvolgerlo.

Nelle intercettazioni infatti si parla di un certo presidente e non specificamente di quello della Regione. D’Avanzo immagina il magistrato milanese incaricato dell’indagine mentre è dilaniato dall’alternativa che il destino gli prospetta: per difendere l’onorabilità del presidente del Consiglio deve buttare a mare la sua inchiesta. Decide di passare la patata bollente al procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Cataldo.

Solo a questo punto e per questi motivi i carabinieri dei Ros  sarebbero intervenuti, mettendo le mani sul video, che però non riguarda Berlusconi. Gli ingredienti per lo sputtanamento  di Marrazzo, il fango, la pubblica gogna, sembrano provenire dalla cucina di casa sua, alla Mondadori di Segrate, Milano.  Questa è la tesi di D’Avanzo.

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