ROMA – “Io non sono il ministro degli stranieri. Con il Pdl lavoro molto bene. Non solo sui temi dell’integrazione con Alfano, ma anche con Lupi, per esempio, o il ministro della Difesa Mario Mauro. Le larghe intese sono una opportunità per tutti: bisogna sapere andare al di là degli steccati”: ecco quel che ha detto la ministra per l’Integrazione Cécile Kyenge. Ma era prima dell’attacco di Roberto Calderoli…
Sabato 13 luglio Kyenge è stata intervistata dal quotidiano Libero, intervista pubblicata domenica 14 luglio. Tra le misure chieste, però, due sono certo poco condivise dal Pdl: l’abolizione del reato di clandestinità, introdotto proprio dal centrodestra, e l’istituzione dello ius soli, cioè l’acquisizione della cittadinanza per gli stranieri che risiedono da almeno 5 anni in Italia.
Ma Kyenge ci tiene a sottolineare di non parlare solo di immigrati:
“Il decreto sulla filiazione è frutto anche del mio lavoro, mi occupo di adozioni. Quando parlo di cittadinanza sollevo una questione che riguarda milioni di italiani, in Patria e all’estero. Lo sa che ci sono centinaia di donne sposate con stranieri che hanno perso la cittadinanza italiana e la rivogliono? L’Italia riconosce lo ius sanguinis per gli emigrati fino alla settima generazione; altri Paesi europei al massimo alla terza”.
Interpellata sui casi tristemente noti di donne di famiglie musulmane ammazzate perché si erano avvicinate ai costumi occidentali, come Hina o Sanaa, la ministra dice:
“Nessuno deve commettere l’errore di pensare che se quella è la loro cultura, allora va tollerata. Se un atteggiamento o un comportamento è contrario alla Costituzione o alla Carta dei diritti umani, non è accettabile. Serve la legge, certo. Ma l’integrazione non può essere solo imposta. Per esempio le mutilazioni genitali femminili. La Costituzione e la Carta dei diritti umani ci dicono che è una pratica sbagliata, per giunta nociva, e infatti la legge le vieta”.
Più aperta Kyenge sul fronte dei clandestini che fuggono dai loro Paesi in cerca di lavoro e di una vita migliore, come quelli che sbarcano sulle coste italiane.
“Il numero degli sbarchi è quasi immutato da dieci anni. C’è stato un picco solo dopo le Primavere arabe: il ministro non ero io e non credo che quella stagione sia stata avviata da “nostri” messaggi… Bisogna capire queste ragioni e dare una risposta politica. I richiedenti asilo si recano in Italia perché non possono restare nel loro Paese. È chiaro che io penso dovremmo accoglierli. Regolarizzare il lavoro, legalizzarlo è un modo per combattere la microcriminalità. Clandestinità e illegalità la alimentano. Il lavoro è un presidio di legalità. La lotta all’immigrazione clandestina si fa anche intensificando i rapporti con i Paesi di origine, facendo sì che chi cerca lavoro in Italia abbia informazioni adeguate nel suo Paese e, nel caso, riesca a trovarlo da lì, prima di avventurarsi e partire”.
Al di là di tutti i i discorsi e le leggi, però, il problema va risolto a livello europeo.
“Dobbiamo rafforzare la nostra presenza politica all’intero dell’Ue, anche in vista del nostro semestre di presidenza. Se un immigrato viene in Italia, la questione non è italiana, ma europea”.
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