ROMA – Il governo Berlusconi, non potendo abolire il Cnel, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, si appresta a smontarlo riducendone i consiglieri da 120 a 70 e tagliando proprio su quelli nominati da sindacati e imprese che passeranno da 99 a 49.
Il Cnel, attualmente presieduto dall’ex ministro berlusconiano Antonio Marzano, è un organo costituzionale con potere di proposta legislativa e funzioni consuntive, cioè può proporre leggi ed esprimere pareri, ma in 54 anni di vita non si è distinto per produttività: ha sfornato “ben” 14 proposte di legge e 96 pareri, al costo di di 20,7 milioni l’anno per pagare i 120 consiglieri e tre milioni all’anno per gli stipendi dei 70 dipendenti. Certo, gli studi su temi economici e sociali e la banca dati dei contratti nazionali di lavoro sono opera utile, ma valgono la spesa?
Abolire il Cnel però non si può: è un organo costituzionale e ci vorrebbe una legge costituzionale. Così si spiega la scelta del governo: non eliminarlo ma smontarlo. Il Cnel, versione “repubblicana” della Camera delle Corporazioni fascista, nasce come punto d’incontro fra imprese e lavoratori. Dimezzandone la rappresentanza e lasciando intatte le altre componenti, la funzione originaria del Cnel viene meno.
Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha provato a rassicurare i sindacati: “La ripartizione garantirà soprattutto le componenti storiche, ovvero le parti sociali”. Ma i numeri dicono altro.
Il provvedimento varato il 13 ottobre dal Consiglio dei Ministri stabilisce che i dodici qualificati esperti esponenti della cultura economica, sociale e politica (nominati dal Presidente della Repubblica) restino confermati, mentre, si riduce a 48 il numero dei rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi pubblici. Tra questi, 22 saranno i rappresentanti dei lavoratori dipendenti, 9 quelli dei lavoratori autonomi e 17 i rappresentanti delle imprese. Restano 10 i rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle associazioni di volontariato, designati dai rispettivi Osservatori.
Ma i tagli partiranno solo dal 2015: il regolamento ribadisce ”la scadenza naturale della consiliatura vigente (2015)”. Comunque per la Cgil, si tratta di ”un ennesimo atto di ostilità preconcetta nei confronti delle parti sociali, penalizzate da un regolamento dalla palese illegittimità costituzionale e che contrasteremo in tutte le sedi”. La Cisl è pronta a ricorrere alla Consulta contro un provvedimento ”anomalo”, perché ”non si può modificare un organo costituzionale senza alcuna discussione con le parti sociali ed in contrasto palese con il dibattito e le risoluzioni parlamentari”.