Comunali, dove e come si vota. Centro sinistra punta a riconferma 16 su 25 capoluoghi Comunali, dove e come si vota. Centro sinistra punta a riconferma 16 su 25 capoluoghi

Comunali, dove e come si vota. Centrosinistra punta a riconferma 16 su 25 capoluoghi

Elezioni Comunali 2017. Come si vota? Dove si vota? A che ora si vota? Come votare alle elezioni comunali 2017? Dove votare elezioni comunali 2017? Comunali 2017, chi votare. Comunali 2017 liste candidati
Comunali, dove e come si vota. Centro sinistra punta a riconferma 16 su 25 capoluoghi
Comunali, dove e come si vota. Centro sinistra punta a riconferma 16 su 25 capoluoghi

ROMA – Sono oltre 1000 i Comuni chiamati al voto domenica 11 giugno per scegliere il proprio sindaco e la nuova amministrazione. Le elezioni comunali 2017 saranno l’ultimo test elettorale prima delle politiche e serviranno per capire che aria tira nel Paese. Il centrosinistra intanto punta a riconfermare 16 su 25 dei capoluoghi già vinti alle precedenti amministrative. Ma come si vota? Dal voto disgiunto alla doppia preferenza, voto solo al candidato o solo alla lista, il sistema elettorale dei sindaci è tra i più complessi in Italia.

 

Andrea Marini sul Sole 24 Ore spiega infatti che il voto nei Comuni varia in funzione del numero di abitanti e così ogni cittadino si ritrova davanti schede differenti a seconda di dove vive. Per comuni con meno di 5mila abitanti, la scheda è molto semplice: un elenco di nomi dei candidati sindaco con accanto il simbolo dell’unica lista che lo appoggia:

“L’elettore può tracciare un segno sul nome del candidato sindaco, sia sul simbolo della lista, sia può tracciare due segni: uno sul simbolo della lista e uno sul nome del candidato sindaco. In tutti e tre i casi il voto vale sia per il candidato sindaco che per la lista. Sotto al simbolo della lista c’è lo spazio per indicare una sola preferenza: si può scrivere il cognome (o nome e cognome in caso di omonimia) di un candidato alla carica di consigliere comunale. Il candidato sindaco che ottiene più voti diventa primo cittadino, e la lista che lo appoggia ottiene i due terzi dei seggi (i seggi sono attribuiti ai candidati consiglieri in base alle preferenze ottenute). Gli altri seggi sono distribuiti alle altre liste in proporzione ai voti ottenuti”.

La scheda e le modalità poi cambiano di poco per i comuni tra 5mila e 15mila abitanti, dove è possibile indicare due preferenze invece che una sola per i consiglieri:

“sotto il simbolo della lista sono segnati due spazi. Tuttavia, se si indicano tutte e due le preferenze, il sesso del primo candidato consigliere deve essere diverso da quello del secondo candidato. Nel caso in cui il sesso sia lo stesso, la seconda preferenza viene annullata”.

Se invece vivete in un comune con oltre 15mila abitanti, ecco le indicazioni per non “smarrirvi” in cabina elettorale:

“Nei comuni con più di 15mila abitanti, si cambia ancora: l’elettore si trova davanti una scheda con i nomi dei candidati sindaci. Accanto al nome di ogni candidato sindaco ci possono essere i simboli di più liste (e non più una soltanto) che lo appoggiano. Accanto al simbolo di ogni lista c’è infine lo spazio per indicare eventualmente al massimo due preferenze. Come per gli enti tra 5mila e 15mila abitanti, se si indicano due preferenze devono essere di genere diverso”.

Inoltre in queste amministrazioni è anche possibile il voto disgiunto tra candidato sindaco e partito, tracciando un segno solo sul nome del candidato:

“in questo caso il voto va solo al candidato sindaco e non anche alla lista. Si può anche tracciare un segno solo sul simbolo della lista: in questo caso però il voto è attribuito sia alla lista che al candidato sindaco. Oppure si può tracciare un simbolo sia sul nome del candidato sindaco che su una delle liste che lo appoggiano. È possibile anche votare per un candidato sindaco e una lista collegata a un candidato sindaco diverso (il cosiddetto voto disgiunto): un meccanismo studiato per costringere i partiti ad accordarsi sul nome di un candidato sindaco “di valore” in grado di strappare consensi anche agli schieramenti avversari”.

Se il candidato sindaco non supererà il 50% dei voti, si andrà al ballottaggio già fissato per il prossimo 25 giugno:

“Nei comuni con più di 15mila abitanti è eletto sindaco il primo candidato che ha superato il 50% più uno dei voti. Se le liste collegate hanno superato il 40% dei voti (e nessuna altra coalizione di liste, o lista, ha superato il 50% dei voti), ottengono il 60% dei seggi. Gli altri seggi vengono distribuiti tra le altre liste (che hanno però superato il 3%) in proporzione ai voti ottenuti. I seggi vengono distribuite alle liste in base ai voti ottenuti, e assegnati ai candidati in base alle loro preferenze. Se nessun candidato sindaco supera il 50% più uno dei voti, si va due settimane dopo al ballottaggio tra i due candidati con più voti. Tra primo e secondo turno (ma al massimo entro sette giorni dal primo turno) è possibile stringere alleanze (i cosiddetti apparentamenti) con liste escluse dal secondo turno. Le liste che appoggiano il candidato eletto sindaco al secondo turno ottengono il 60% dei seggi”.

Se un sindaco viene eletto, ma non ha la maggioranza in consiglio, si parla di “anatra zoppa”:

“un candidato eletto sindaco ma senza maggioranza in consiglio comunale. È stato questo il caso per esempio del comune di Isernia nel 2012. Il candidato del centrosinistra Ugo De Vivo vinse con il 57,4% al secondo turno, ma le liste del centrodestra ottennero al primo turno il 58,7%. De Vivo fu eletto sindaco, ma le sue liste ottennero solo 8 seggi, contro i 20 del centrodestra. Il sindaco in questo caso entra in carica (essendo eletto direttamente dai cittadini non ha bisogno del voto di fiducia del consiglio). Tuttavia, per approvare i singoli provvedimenti deve”.

Eppure queste elezioni amministrative non vanno certo sottovalutate, perché rappresentano un importante specchio per chiarire la situazione politica del Paese, come spiega sempre Marini sul Sole 24 Ore:

“dei 1.004 comuni al voto, 169 provengono da amministrazioni di centrosinistra, 82 di centrodestra, 13 di sinistra, 6 di centro, 4 del M5S (anche se nel caso di Parma, il sindaco Federico Pizzarotti in corso di consiliatura ha lasciato il movimento di Beppe Grillo).

Le restanti amministrazioni in massima parte provengono da sindaci uscenti sostenuti da liste civiche (627). Si tratta soprattutto degli 844 piccoli comuni sotto i 15mila abitanti, dove le tematiche espresse dai partiti nazionali sono meno sentite in una elezione locale e dove l’assenza del ballottaggio obbliga alla formazione di liste uniche (che raccolgano anche esperienze della società civile locale) per avere più chance di vittoria. I restanti 103 comuni provengono da realtà in amministrazione straordinaria a causa dello scioglimento anticipato”.

Per questo motivo il centrosinistra punta alla riconferma di almeno 16 capoluoghi su 25:

“Proprio per questa ragione, l’attenzione dei partiti sarà concentrata soprattutto nei grandi comuni. In primis i 4 comuni capoluogo di Regione (Palermo, Genova, Catanzaro e L’Aquila), a cui si aggiungono altri 21 capoluoghi di Provincia (Alessandria, Asti, Belluno, Como, Cuneo, Frosinone, Gorizia, La Spezia, Lecce, Lodi, Lucca, Monza, Oristano, Padova, Parma, Piacenza, Pistoia, Rieti, Taranto, Trapani e Verona). Anche in questi 25 grandi comuni il centrosinistra ha governato in 16 amministrazioni uscenti, segue il centrodestra (7), il centro (1) e il M5S (con Parma, dove però, come detto, il sindaco Pizzarotti ha lasciato il movimento)”.

AFFLUENZA ORE 12.

E’ stata del 19,36% l’affluenza alle urne rilevata alle 12 per le elezioni comunali in 849 centri chiamati al voto (il dato diffuso dal Viminale non tiene conto delle comunali in corso in Friuli Venezia Giulia e Sicilia). Nelle precedenti omologhe alle ore 12 la percentuale dei votanti si era attestò al 13%, ma si votò in due giorni. Alle europee del 2014, quando le urne restarono aperte un solo giorno e fu chiamato alle urne l’intero corpo elettorale, l’affluenza alle urne fu del 16,67%. Tra i capoluoghi di regione chiamati alle urne, alta affluenza a Catanzaro (22,13%), intorno alla media nazionale L’Aquila (19,35%); a Palermo ha votato il 14,91 per cento, mentre Genova, con il 7,43%, è fanalino di coda tra tutti i capoluoghi. Tra i capoluoghi di provincia, Lecce è la città dove si è votato di più, con il 27,38%; percentuali di affluenza sopra la media nazionale a Frosinone, Gorizia, Lodi, Oristano, Padova, Piacenza e Rieti; di poco al di sotto a Alessandria, Asti, Belluno, Como, La Spezia, Parma, Pistoia, Verona, Taranto e Trapani. Chiudono Monza con il 17%, Cuneo con il 16%, Lucca con il 15,03. La prossima rilevazione è prevista alle ore 19.00.

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