Il presidente della Corte Costituzionale Francesco Amirante mette in guardia contro le possibili delegittimazioni ai danni della Consulta e ribadisce che la Consulta non ha nessun “colore politico”.
“Quando si delegittima un’istituzione – ha detto il magistrato – a lungo andare si delegittima lo stesso concetto di istituzione e, privo di istituzioni rispettate, un popolo può anche trasformarsi in una massa amorfa”. E lancia un allarme grave: c’è «qualcosa di patologico» nel perdurante alto numero dei ricorsi in via principale, vale a dire quelli che lo Stato compie contro leggi di Regioni e Province autonome o di queste contro leggi statali. «Non credo – afferma Amirante – che i cittadini ritengano normale e proficua la frequenza delle controversie tra Stato e Regioni e il continuo intervento della Corte per definire i confini delle loro rispettive competenze legislative».
Senza citare esplicitamente le accuse di cui è stata fatta bersaglio la Consulta all’indomani della bocciatura del ‘lodo Alfano’, Amirante ha dedicato alla difesa di principi costituzionali gran parte della della sua relazione in occasione del tradizionale incontro d’inizio anno con la stampa.
Secondo il presidente della Consulta “rispettare la Corte significa anche, e forse soprattutto, conoscerne e considerarne i tempi” in particolare in relazione al “bilanciamento dei principi e dei diritti fondamentali, di valutazione delle decisioni nello scorrere del tempo, della previsioni dei loro effetti e, quindi, alle cosiddette ‘ricadute”.
Ma, ha avvertito il presidente, “quando la decisione di legittimità costituzionale ha ad oggetto i principi strutturali della Costituzione e i diritti fondamentali della persona umana, quali sono riconosciuti e garantiti dalla Carta, ed eventualmente il loro bilanciamento, allora i tempi della Corte si diversificano da quelli di altre Istituzioni”.
Amirante ha invocato per la Corte “l’esigenza, da un grande Papa riferita alla Chiesa, di dover essere sensibile ai segni dei tempi o della Storia, ma anche, aggiungerei, indifferente ai clamori della cronaca”. Soprattutto perché – spiega – la nostra Costituzione ‘rigida’ comporta “tempi diversi da quelli di una legislatura e comporta l’abbandono della teoria” di ideologia giacobina “secondo la quale il popolo, esprimendo la volontà generale, può in ogni momento cambiare tutti i principi e le regole della propria convivenza”.
Non è così – avverte Amirante – soprattutto se si considera che l’art.1 della Carta nel prevedere che la sovranità appartiene al popolo, subito dopo stabilisce che questo la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione.
“Quando una Corte o un Tribunale costituzionale dichiara l’illegittimità di una legge non compie nulla di strano, o peggio di illegittimo, ma emette una decisione che rientra nello svolgimento del principale dei suoi compiti istituzionali. Forse ora la vera bizzarria potrebbe consistere nel meravigliarsene”.
Amirante nella sua relazione ha ricordato che anche tra i Costituenti, comunisti e liberali, ci fu chi “ritenne una ‘bizzarria’ la sola ipotesi che quindici persone, non elette direttamente dal popolo, potesse porre nel nulla una legge emanata dal Parlamento”. Tuttavia – fa subito notare – “sta di fatto che tale bizzarria esiste da oltre mezzo secolo ed è ormai condivisa dalla quasi totalità dei Paesi europei e da molti Stati extraeuropei”. E dunque, “é singolare che ciò non venga compreso da molti di coloro che si richiamano alla tradizione e che, non ben considerando la specificità della Corte costituzionale tra le istituzioni, incorrono in fraintendimenti della valutazione del suo operato”.
A tale proposito, Amirante ha rivolto un “grato pensiero” al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che “in numerose occasioni ha sottolineato la peculiarità e il rilievo di garanzia della Corte Costituzionale”.
La Corte Costituzionale, ha aggiunto ancora Amirante, non ha alcun “orientamento politico”: il suo “orientamento, come doveroso, é sempre stato quello del rispetto e dell’attuazione dei principi costituzionali”. Dopo aver compiuto un excursus sulle principali pronunce della Corte nel 2009 (342, di cui 162 sentenze, +7% rispetto al 2008) – tra cui quella sulla fecondazione assistita, il ‘lodo Alfano’, sul segreto do Stato in relazione al caso Abu Omar, sulla Commissione di vigilanza Rai, sullo spoil system negli enti locali, etc il presidente della Consulta sottolinea come tutte queste decisioni “testimoniano la vastità e la diversità della vita sociali sui quali incide l’attività della Corte” rispetto alle quali ci sono stati “i più disparati giudizi, come è giusto che sia”.
“Tuttavia – ha concluso il presidente – la Corte dal primo gennaio 2009 è cambiata soltanto per un componente (Paolo Grossi, nominato dal Capo dello Stato, ndr). Chi volesse vedere nelle sentenze non dico un disegno, ma anche soltanto un orientamento coerente sul piano, alla Corte estraneo, della politica di questo o quel partito, di questo o quel movimento, resterebbe deluso”.