Le due vite di Cossiga: “Amerikano” e “picconatore”

”Io non sono matto, faccio il matto. Io sono il finto matto che dice le cose come stanno”. La frase risale all’ormai lontano 1990, quando Francesco Cossiga, del quale sabato 3 luglio ricorre il venticinquesimo anniversario dell’elezione a presidente della Repubblica, diede una sua svolta alla sua vita e cominciò la carriera di ”picconatore”.

Prima di allora Cossiga era stato un silenzioso e potente uomo politico democristiano, talmente riservato che molti, a vederlo improvvisamente menare fendenti, si chiesero se dietro le sue irrituali ”esternazioni” non ci fosse il germe della follia . Il Cossiga ”uno” si è occupato di servizi segreti, ha avuto la supervisione politica di ”Gladio” negli anni ’60, ha combattuto il terrorismo negli anni di piombo, è stato presidente del consiglio e presidente della Repubblica, eletto il 3 luglio del 1985 alla prima votazione.

Ma dopo cinque anni di Quirinale vissuti da notaio (lo consideravano talmente grigio e ”istituzionale” che nel 1985 lo votarono anche quelli del Pci), Cossiga si trasforma nel terribile e provocatorio fustigatore del quieto vivere politico, il destabilizzatore del sistema: era nato l’altro Cossiga, ”il picconatore”. Dietro la metamorfosi di questo sassarese, cugino di Enrico Berlinguer, con un debole per le onorificenze militari (è stato nominato capitano di fregata grazie a una legge del 1932, è anche vicebrigadiere d’onore dei carabinieri e commissario onorario della polizia) c’erano i primi scricchiolii della prima Repubblica.

Cossiga pensava che il sistema, per sopravvivere, avesse bisogno di una scossa e decise che sarebbe stata lui a darla. ”Intendo togliermi qualche sassolino dalla scarpa”, fu la frase-manifesto con cui annunciò che da quel momento in avanti il Quirinale sarebbe stato al centro di tutto. I suoi bersagli furono la Corte Costituzionale, il Csm, i politici democristiani e comunisti, il sistema istituzionale, i magistrati, e tra questi anche quel ”giudice ragazzino” Rosario Livatino sbeffeggiato per voler fronteggiare la mafia senza nessuna esperienza e che poi dalla mafia fu ucciso.

Cominciata nel 1958 con l’ingresso a Montecitorio, la vita politica di Cossiga si è snodata in gran parte lungo la direttrice della sicurezza nazionale. Ministro dell’Interno negli anni ’70 era diventato il lupo nero della sinistra extraparlamentare. I militanti del movimento studentesco scrivevano il suo nome sui muri con il ”K” e le due ”s” runiche dei nazisti: le scritte si intensificarono dopo che Cossiga mandò i blindati e i poliziotti in borghese alla manifestazione dove morì la militante radicale Giorgiana Masi .

Era al Viminale anche durante i giorni del sequestro Moro: si dimise dopo che il cadavere del presidente della dc fu ritrovato a via Caetani: si dimise per non aver saputo trovare in tempo i responsabili del sequestro. ”Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle – disse – è per questo, perchè mentre lasciavamo uccidere Moro me ne rendevo conto” . Il punto culminante dell’ attività picconatrice al Quirinale si ebbe sulla vicenda Gladio. Cossiga non esitò a svelare la genesi dell’operazione ”Stay behind”. Anche lui, da ragazzo, aveva aspettato i risultati delle elezioni del 18 aprile 1948 pronto a prendere in mano le armi se i comunisti avessero voluto tentare il colpo di Stato.

Gli uomini di Gladio dovevano essere considerati come ”patrioti”. E chi non lo capiva si attirava la sua ira. Osannato dalla destra ancora missina, per i post-comunisti di Achille Occhetto era un nemico da combattere. Cossiga è stato l’unico presidente della storia repubblicana a dover fronteggiare una richiesta di impeachment. Ma il rapporto tra Cossiga e la sinistra e’ piu’ complesso di quanto possa apparire a prima vista: gratta gratta è sempre il vecchio ”odi et ama” che riemerge : da una parte sbeffeggiava Occhetto definendolo ”zombie coi baffi”, dall’altra aiutava D’Alema ad andare a Palazzo Chigi dandogli i voti dei suoi ”quattro gatti”.

Pochi ricordano che Cossiga ha anche collaborato con L’Unità e ha elogiato Stalin per il contributo dato alla vittoria degli alleati. Negli anni, il suo gusto per le sparate è rimasto intatto; qualche tempo fa, suggerì di affrontare l’onda studentesca scesa in piazza contro la Gelmini infiltrando il movimento, provocando ”incidenti e devastazioni” per poi picchiarli e ”mandarli tutti in ospedale”. Paradossi o vere convinzioni? Come per tante altre sue affermazioni, solo l’enigmatico Cossiga conosce la risposta.

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