Costacurta: “Renzi il nuovo Silvio”. Gori e i “berluschini” convertiti

ROMA – “Renzi è il nuovo Silvio”: parola di Billy Costacurta, ex colonna difensiva del Milan dei trionfi, folgorato dall’enfant rottamatore. Lo scoop è del Fatto Quotidiano, che ha sparato la dichiarazione in prima pagina. Non è tutto: a costo di apparire un campione di ingratitudine, consiglia a Berlusconi di passare la mano. Non del Milan, ma del Governo. Seguendo il consiglio della moglie, la show-girl Martina Colombari, ha deciso di fare una capatina a vedere di persona l’ultimo fenomeno della politica. Incantato dalle doti di affabulatore di Renzi non ha fatto nulla per nasconderlo. E si è permesso il lusso di dare una stoccata alla figlia del Presidente: “Mai ascoltato dire da Marina Berlusconi ‘faccio qualcosa per l’Italia’, quando si è parlato di una sua candidatura ho pensato fosse uno scherzo”. Di pessimo gusto, si deve presumere.

Il fatto è che Costacurta non è il solo. Il ciclone Renzi scompagina le certezze acquisite. In molti stanno decidendo un cambio di stagione in anticipo sul calendario: via dagli armadi i vecchi capi dell’ortodossia berlusconiana, dentro i vestiti più pratici e giovanili della collezione fiorentina. Giorgio Gori, per esempio, è stato il più lesto a montare sul carro di Renzi. Martina Mondadori ha bruciato le tappe e dal palco della Leopolda lo ha esortato calorosamente: “Tocca a te, ti vogliamo presidente del Consiglio”.

Chissà se a Renzi tutto questo entusiasmo fa piacere. Allargare la base di consenso, pescare nell’altro schieramento dovrebbe essere la stella polare per coltivare plausibili aspirazioni di gloria. D’altro canto, a imbarcare troppi berluscones, specie di estrazione vip, si finisce per confermare la voce più insistente che circola a sinistra: è un Berlusconi più giovane, stesso sorriso da seduttore professionale, stessa egolatria. Sarebbe perfetto per guidare il centrodestra, che c’azzecca con noi? L’intervista rilasciata da Costacurta al Fatto Quotidiano corrobora la tesi. Ma se l’outing politico di un eroe della pedata in pensione vale come titolo di richiamo, Marco Travaglio passa invece al setaccio pensieri, opere e azioni di Giorgio Gori e Martina Mondadori.

Rovistando nell’archivio, Travaglio fa luce sul cursus (dis)honorum di Gori. Negli anni ’80 bazzicava ambienti di destra, viene adocchiato da Craxi che gli spalanca le porte della dirigenza in Fininvest. Non ancora trentenne guida tutti i palinsesti delle reti del gruppo. Quando Berlusconi entra in politica nel ’94 è fra gli organizzatori della miracolosa costruzione di Forza Italia in soli tre mesi. Il succo è che rappresenta il prototipo fisico e spirituale della cultura berlusconiana. Con quale faccia, si chiede Travaglio, Gori può affermare di “voler liberare la Rai dai partiti”? Su Mediaset non apre bocca, prosegue Travaglio, che non perdona a Matrix di aver invitato prontamente Renzi dopo la convention, mentre mantiene l’embargo su Di Pietro, l’invito del quale costò a Mentana la cacciata su due piedi.

Il dossier Martina Mondadori è più leggero. A Travaglio basta sapere che l’erede di Leonardo Mondadori siede nel Cda della casa editrice che una volta apparteneva alla sua famiglia e che grazie a una sentenza comprata passò sotto il controllo Berlusconiano. Che si dimetta da quel Cda, picchia Travaglio, prima di mettersi a discettare di politica e di centrosinistra.

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