Crisi di governo: fase di studio…Crisi vera: S&P minaccia il rating italiano

Pubblicato il 7 Dicembre 2012 - 18:55 OLTRE 6 MESI FA
Angelino Alfano con Berlusconi (Foto Lapresse)

ROMA – A Roma la crisi non è esplosa e, a giudicare da dichiarazioni e toni, non esploderà. Angelino Alfano provoca poi giura che non aprirà la crisi di governo, Napolitano ascolta tutti e tutti vanno in processione al Quirinale. Ma dalle parti del Pdl nessuno ha la forza e la voglia di prendersi la responsabilità di una crisi, soprattutto con un partito che non è compatto e non segue fedele i diktat scesi dall’alto. I mercati però non si fidano e Standard&Poor’s si interessa alle faccende italiane attraverso un comunicato poco rassicurante: “L’incertezza sull’agenda del prossimo governo e il rischio significativo che l’economia italiana possa non riprendersi nella seconda metà del 2013” potrebbero peggiorare la situazione debitoria e portare l’agenzia a tagliare il rating italiano.

A Milano poi non aspettano e le cattive sensazioni di Roma si tramutano in cattive pagelle dei mercati. Piazza Affari è “maglia nera d’Europa”, lo spread chiude a 323 dopo essere andato anche oltre 330. Non una reazione isterica, per carità, però Milano ha chiuso a -0,86%, peggiore d’Europa, e lo spread è salito dopo una settimana di ottimismo.

Quello di Alfano somiglia più a un avvertimento: non facciamo cadere il governo, ma non pensate di poter varare quello che volete da qui a marzo. Ecco cosa ha detto il segretario Pdl dopo aver incontrato, a inizio giornata, il presidente della Repubblica: “Tredici mesi fa questo governo nacque perché le cose andassero meglio. Tredici mesi dopo le cose vanno peggio. Non abbiamo bisogno di molte discussioni. Oggi siamo qui a dire che consideriamo conclusa questa esperienza di governo. Ieri non abbiamo votato la sfiducia perché avremmo causato l’abisso dell’esercizio provvisorio. Vogliamo concludere l’esperienza di questo esecutivo”. In particolare a Berlusconi è rimasto indigesto il decreto legislativo sull’incandidabilità varato giovedì dal governo, provvedimento che rischia di farlo cadere (se dovesse essere eletto) in caso di condanna; e la sortita di Corrado Passera giovedì mattina ad Agorà. E non parliamo del giudizio del ministro sulla ricandidatura di Berlusconi (“Un passo indietro”) ma dell’annuncio, passato un po’ inosservato, dell’asta sulle frequenze tv che “si farà entro la legislatura”.

Napolitano, viste le premesse, ha ascoltato tutti i rappresentanti dei principali partiti ferma restando la sua preferenza, già anticipata giovedì, di un fine legislatura senza scossoni. Alfano alla fine non ha fatto strappi. Casini e Bersani, come da copione, hanno confermato il sopporto a Monti. Ma quanto dura la parola di Alfano, soprattutto con Berlusconi di nuovo in campo? Cosa farà il Pdl davanti al prossimo ostacolo, primo tra tutti l’election day? I mercati fiutano l’aria e reagiscono. Quasi solo segni negativi tra i gruppi bancari, che hanno accusato il nervosismo politico più delle quotazioni dei titoli di Stato, piuttosto stabili: Mediobanca ha perso il 2,33% finale, Unicredit l’1,30%, Montepaschi l’1,1%, Intesa SanPaolo lo 0,93%, mentre Bpm ha segnato il timido rialzo dello 0,49%. In leggero calo Generali (-1,07%). Il peggiore dei titoli a elevata capitalizzazione di Piazza Affari è stato quello di Mediaset, che ha ceduto il 3,13% a 1,36 euro e che prosegue la sua fase di forti ondeggiamenti. Lo spread ha chiuso a 323.