Crisi Governo: Monti preoccupato, decide sulla lista dopo la legge di Stabilità

Mario Monti

ROMA – Crisi di Governo. Mario Monti è sereno per la scelta (solitaria) di dimettersi un minuto dopo l’approvazione della Legge di Stabilità (“Bastone e mantello, prego”), non nega le preoccupazioni sulle prospettive dell’Italia. E’ quella data decisiva per sciogliere la riserva e eventualmente annunciare la sua discesa in campo al fianco di una lista che porti i suo nome. Aspetta al varco i partiti, non solo il Pdl che si è assunto la responsabilità di chiudere la stagione dei tecnici, ma anche il Pd per “andare a vedere”, come in una sfida a poker, l’atteggiamento reale di Bersani e la consistenza dei “ritocchi” all’agenda Monti (ritocchi che vanno fino alle dichiarazioni belligeranti del “nemico” di Monti, Vendola).

In ballo c’è il “tesoro da salvare” a vantaggio dei cittadini “che in questo anno hanno fatto sacrifici”. ”Sono convinto di aver fatto la cosa giusta e in ogni caso non potevo farne a meno, dopo quel che è successo. Ma sono preoccupato naturalmente non per me ma per quel che vedo”. E’ la spiegazione delle ragioni delle sue dimissioni che il premier Mario Monti ha dato a chi lo ha chiamato per un saluto, come riferisce Repubblica in un resoconto firmato dal direttore, Ezio Mauro. Il premier sottolinea di non sapere proprio quale sarà il suo futuro al termine dell’esperienza del governo tecnico: “Se dovessi candidamente dire il mio sentimento oggi, direi che sono molto preoccupato. E non mi riferisco soltanto a quella parte politica da cui è venuto questo epilogo con le mie dimissioni. La mia preoccupazione è più generale”.

Una decisione, quella di rassegnare le dimissioni dopo l’ok alla legge di stabilità, maturata “proprio durante il volo da Cannes a Roma”, ricordando anche “cosa aveva rappresentato per l’Italia Cannes lo scorso anno, con quel G8 all’inizio di novembre in cui il nostro governo fu messo alle strette”. La sua scelta, comunque, sottolinea il premier, “non ha avuto bisogno di un confronto politico. Non è vero che mi sono confrontato con gli onorevoli Bersani e Casini prima di andare al Quirinale. Non ne avevo il tempo e in qualche modo potrei dire che non ne ho avvertito la necessità. Nel senso che mi era ben chiaro cosa dovevo fare. Ecco perché non ne ho parlato nemmeno con esponenti del governo. Ho voluto confrontarmi solo con il Capo dello Stato. Poi a cose fatte ho chiamato Bersani e Casini. E dopo anche l’onorevole Alfano”.

L’annuncio nel giorno di festa è arrivato per dare “a mercati chiusi, ventiquattro, trentasei ore di tempo per riassorbire un ‘colpo’, nella speranza naturalmente che il colpo non ci sia”. E determinante non è stato tanto il timore di un ‘Vietnam parlamentare’ dopo la dichiarazione di Alfano, “‘interpretata veramente come un attestato di sfiducia anche se non espressa in modo formale”, non necessario perché “le cose sono chiare”). Il fatto “decisivo – spiega il premier – è un altro: io non sento più intorno a me una maggioranza che, sia pure con riserve e magari a malincuore, sia capace di sostenere con convinzione la linea politica e di programma su cui avevamo concordato”. E ”non potevo fare altrimenti. Non sarebbe stato giusto e nemmeno possibile”.

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