Cuffaro entra in carcere con la condanna definitiva. Primo caso per un processo “politico”

Salvatore Cuffaro finisce in carcere mentre è senatore: si tratta di un evento più unico che raro nella storia della Repubblica italiana, come ha spiegato Giovanni Bianconi in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera.

Come ha sottolineato Bianconi, questo “è l’ultimo capitolo di una vicenda che ha messo a confronto due diversi metodi per affrontare i rapporti tra la mafia e la politica nelle aule di giustizia”.

Secondo Bianconi la vicenda presenta “molti chiaroscuri, in entrambi i campi”. Innanzitutto “quello appena concluso contro Salvatore Cuffaro è il «processo politico» che più ha caratterizzato gli ultimi dieci anni dell’antimafia giudiziaria, segnato da forti contrasti fra accusa e difesa (abbastanza naturali) e al tempo stesso all’interno della magistratura (meno naturali)”.

I precedenti sono illustri: “Prima c’erano stati i processi al senatore Andreotti – terminato con l’ambiguo verdetto che sancì la prescrizione del reato commesso fino al 1980 e l’assoluzione per quello contestato in data successiva – a un paio di ex alti funzionari di polizia giudicati colpevoli, e alcuni conclusi con la dichiarazione finale d’innocenza, a volte dopo alterne sentenze. Era un’altra stagione dell’antimafia, quella degli anni Novanta, che innescò anche il giudizio contro il senatore del Pdl Marcello dell’Utri, non ancora concluso dopo la condanna di primo grado parzialmente ridotta in appello”.

La novità, ha rilevato Bianconi “è il timbro della Cassazione sulla pena inflitta a Cuffaro, simbolo del potere finito alla sbarra negli anni Duemila ma figlio di un mondo politico più antico”.

Di Cuffaro, ricorda Bianconi, si ricorda una “sua performance di vent’anni fa, quando in una trasmissione tv condotta da Maurizio Costanzo e Michele Santoro, il futuro governatore della Sicilia si lanciò in un’appassionata difesa della classe dirigente democristiana nella propria regione, lasciando visibilmente interdetto il giudice Falcone, ospite in studio, al quale restavano pochi mesi di vita.In quell’apparizione televisiva Cuffaro intendeva proteggere soprattutto Calogero Mannino, all’epoca influente ministro successivamente accusato di concorso con la mafia», con tanto di carcerazione preventiva, assoluzione, condanna, annullamento della condanna e nuova assoluzione definitiva”.

Adesso, però ha rilevato Bianconi, “il suo «delfino» ed erede politico Totò Cuffaro è rimasto impigliato in una sorte opposta, entrando in galera non da inquisito poi prosciolto ma col marchio della colpevolezza finale. Sempre per storie di boss e amici dei boss, lette però con occhiali differenti dai pubblici ministeri che l’hanno trascinato davanti ai giudici”.

Inoltre, come ha scritto Bianconi, ci sono altri motivi per cui Cuffaro sarebbe in confidenza con gli esponenti della malavita: “L’ex governatore ha fatto un piacere a Cosa Nostra attraverso il decisivo sostegno fornito alla candidatura di un uomo giudicato vicino al capomafia del quartiere Brancaccio Giuseppe Guttadauro, e facendogli arrivare notizie riservate su indagini e intercettazioni in corso”.

Dunque si tratterebbe, e così ha ritenuto anche al Cassazione, “non di un aiuto personale a qualche amico finito sotto inchiesta, dunque, ma direttamente al boss. Al termine di «una lunga partita a scacchi giocata dall’associato mafioso e da Cuffaro, ognuno consapevole del ruolo e degli interessi dell’altro» , hanno scritto i giudici”.

In primo grado, ha sottolineato Bianconi, “gli stessi fatti erano stati interpretati in maniera diversa dal tribunale, fermatosi al favoreggiamento semplice, che oggi sarebbe prescritto. La corte d’appello invece ha deciso per l’aggravante, riproponendo l’ipotesi iniziale dell’accusa che a suo tempo provocò una profonda e mai sanata frattura nella Procura di Palermo: c’era chi voleva imputare a Cuffaro il concorso esterno in associazione mafiosa seguendo la linea processuale percorsa dall’ex procuratore Caselli, ma il neo-procuratore Grasso archiviò quel reato contestando il più sottile favoreggiamento aggravato”.

Invece, “nel nuovo processo per concorso esterno gli episodi contestati sono sostanzialmente gli stessi, ma per i pm dimostrano la «specifica volontà dell’imputato di favorire non un singolo personaggio ma Cosa nostra nel suo complesso» . L’atteso giudizio di primo grado, a questo punto, sembra valere più per la disfida interna alla magistratura che per l’interessato. Restano i fatti, le relazioni pericolose tra un politico e un boss mafioso mediate da qualche personaggio di confine”.

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