D’Alema, Berlusconi e le auto illusioni italiane

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La vicenda di Massimo D’Alema è un lampante esempio di quanto gli italiani siano capaci di auto illudersi. Non è che ce ne fosse tanto bisogno di ulteriori conferme. Pensiamo di piacere a tutto il mondo perché siamo quelli degli spaghetti, delle canzoni, del “core in mano” e non ci rendiamo conto che invece gli altri ci considerano con disprezzo, approssimativi, inaffidabili, sleali. Ci chiamano “macaroni”, chi ha in casa qualcuno proveniente dai paesi dell’est chieda per conferma. Non è Enrico Fermi l’italiano modello, è Alberto Sordi.

O se volete, nell’espressione di maggiore successo, Silvio Berlusconi. Riguardate l’espressione di Angela Merkel quando il nostro primo ministro, impegnato al telefonino (disse che era con Erdogan, chissa, magari era Tarantini) l’ha fatta aspettare per molti, eterni, minuti, fuori della porta, a uno dei mille inutili vertici che assorbono ormai la maggior parte del tempo dei nostri governanti. Era l’espressione rassegnata che si assume con qualcuno per il quale non è pensabile redenzione, con qualcuno destinato a restare comunque sempre in serie B. Riguardate le facce e gli atteggiamenti degli Obama. Riguardate le facce di Sarkozy o dello stesso compare Putin. Amiconi, simpaticoni, come i bagnini della riviera romagnola, gli intrattenitori dei club vacanze o delle crociere.

Che le chances di D’Alema fossero molto poche era chiaro da un po’. Solo i giornali italiani, dove pochi leggono, capendoli, i giornali stranieri nonostante i molti soldi profusi dagli editori in corsi di lingue, continuavano a crederci. Negli ultimi tempi, D’Alema e la misteriosa sigla Mr.Pesc erano diventati un binomio indissolubile, saldati dalle parole: è in pole position o è il candidato favorito. Anche se non è bello né elegante citarsi addosso, Blitzquotidiano lo aveva scritto, sommessamente riportando un’analisi del Times di Londra e del Figaro di Parigi.

In realtà, tutto il gioco ruotava non intorno a D’Alema, ma all’ex primo ministro inglese Tony Blair. Peccato che Blair non potesse andare bene ai due principali attori dello scacchiere europeo, la tedesca Merkel e il francese Nicolas Sarkozy: per cominciare gli avrebbe dato ombra e i due, che ormai, pur di fare notizia, buona, sono arrivati a deporre assieme corone in memoria dei caduti, non avrebbero certo gradito un personaggio della forza mediatica di Blair alla guida dell’Europa.

Poi ci sono dei fatti oggettivi. La Gran Bretagna non ha aderito all’accordo di Schengen, sulla libera circolazione delle persone, né alla moneta unica, l’euro, forse la cosa europea più importante degli ultimi tempi: non sarebbe stato un gran bel segnale per le spinte secessionista da cui, tra gli altri, la destra italiana berlusconiana non è immune. Poi non si può dimenticare che Blair si è troppo compromesso, lui di sinistra, con la politica militarista di Bush, facendogli da servo sciocco in tutta la cavalcata dall’Afghanistan all’Iraq e portando il suo partito alla quasi certezza di una sconfitta elettorale. Anche questo sarebbe stato motivo di imbarazzo per un’Europa interessata solo a sganciarsi da tutto quel che appaia minimamente marziale. Per Merkel e Sarkozy sarebbe stato un doppio o triplo danno.

A questo punto il gioco era abbastanza chiaro: uno che non desse troppa ombra a nessuno, quanto meno col nome, alla presidenza, un inglese agli Esteri, perché comunque la Gran Bretagna nel mondo e in Europa ha un peso e un’immagine ben diversa dall’Italia.

L’immagine dell’Italia si riflette su tutto ciò che è italiano, sinistra compresa e poiché la decisione su chi dovesse diventare ministro degli Esteri europeo toccava ai partiti di sinistra europei, essi sono stati soggetti agli stessi pregiudizi, anche perché, a dire il vero, i pregiudizi anti italiani sono molti più radicati nei ceti popolari che nelle classi alti del nord Europa.

Poi dovevano anche dare un contentino a Gordon Brown, che pur si era battuto come un leone, sapendo bene che non ce l’avrebbe mai fatta, a favore di Blair. Aggiungete la componente femminile e il gioco è fatto.

Per concludere una annotazione che non è molto corretta politicamente ma credo sia molto realistica. Il nucleo forte della sinistra europea occidentale è socialista e come tale anticomunista, per ragioni che hanno a che fare con le ambizioni egemoni dei comunisti in passato e con i loro modi non sempre gradevoli per affermarla. Ora mentre nella beata Italia la memoria, nelle classi medio alte che sono la principale fonte di quadri per la politica e il giornalismo, svanisce rapidamente, nel resto del mondo (come nel resto d’Italia) il ricordo, bello o brutto che sia, fa parte dell’identità individuale e collettiva e non è facile sbianchettarla.

E non si può certo escludere che a ovest abbia giocato la matrice comunista di D’Alema, a est certi suoi dissapori, forse solo caratteriali, con i polacchi.

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