E’ morto Attilio Ruffini, deputato e ministro Dc, padre del direttore di RaiTre

ROMA – E' morto ieri a Roma Attilio Ruffini. Aveva 86 anni. E' stato deputato della Democrazia Cristiana per 24 anni, dal 1963 a 1987, e più volte ministro. Nato a Mantova nel 1924, avvocato, autore di diversi saggi di politica e teologia, Attilio Ruffini ha partecipato attivamente alla Resistenza.

Imprigionato dai nazisti nel carcere San Leonardo di Verona, fu componente del CLN. Insieme a don Primo Mazzolari, costituì nella clandestinità il partito della Democrazia Cristiana di Mantova, iniziando così il suo impegno politico. Poi, si è trasferito a Palermo, dove ha sposato Zina Maria La Loggia ed ha avuto cinque figli. Uno di loro, Paolo, è direttore di Raitre.

Fu eletto per la prima volta deputato nel 1963 nelle file della Dc ed è rimasto in Parlamento fino alla IX legislatura. E' stato il primo firmatario alla Camera della legge sulla riforma del diritto di famiglia; e portano il suo nome altre iniziative di legge di rilevante effetto civile, come le leggi per la riparazione degli errori giudiziari, per l'insegnamento delle lingue straniere nelle scuole elementari.

Negli anni si è battuto per introdurre regole certe di democrazia nel sistema dei partiti. E' stato vice segretario della Dc con Amintore Fanfani e Benigno Zaccagnini; ministro degli Esteri, della Difesa e dei Trasporti sul finire degli anni '70.

Nel '78 fu cofirmatario con il presidente del Consiglio e il ministro dell'Interno Rognoni del decreto di nomina del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a capo del coordinamento delle attività contro il terrorismo e il crimine organizzato.

Il 16 gennaio 1980 a Bruxelles, nel corso della riunione straordinaria del Parlamento Europeo sulla crisi afghana, in qualità di presidente di turno del Consiglio della Comunità Europea, intervenne duramente per stigmatizzare l'intervento militare sovietico.

Saggista e conferenziere ha scritto tra l'altro un libro (La Grande tentazione) sull'impegno politico dei cattolici, denunciando la concezione della politica come carriera: ''[…] C'è anche un problema di responsabilità personali che ognuno di noi assume sul piano morale quando concepisce il fare politica come un coacervo di vanità, di ambizioni, di gusto del potere anziché come un servizio da rendere alla società''.

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