Elezioni. Exit poll, proiezioni, risultati, percentuali, seggi: istruzioni per l'uso Elezioni. Exit poll, proiezioni, risultati, percentuali, seggi: istruzioni per l'uso

Elezioni. Exit poll, proiezioni, risultati, percentuali, seggi: istruzioni per l’uso

Elezioni. Exit poll, proiezioni, risultati, percentuali, seggi: istruzioni per l'uso
Elezioni. Exit poll, proiezioni, risultati, percentuali, seggi: istruzioni per l’uso

ROMA – Elezioni. Exit poll, proiezioni, risultati, percentuali, seggi: istruzioni per l’uso. Già, qualche istruzione per leggerli e sapere con esattezza cosa dicono ci vuole. A scanso di abbagli, errori, illusioni, delusioni. O semplicemente a scanso di confondere lucciole per lanterne, fischi con fiaschi…

Exit poll. Arriveranno più o meno subito dopo le 23 di domenica. E saremo tutti curiosi di vederli. Curiosità legittima e comprensibile. Ma, curiosità insopprimibile a parte, potremmo anche saltarli e passare oltre. Aspettare cioè le cosiddette proiezioni per sapere davvero come sono andate le elezioni. L’unica cosa che gli exit poll potrebbero annunciarci con un qualche fondamento è che gli italiani hanno votato in maniera assolutamente imprevista e imprevedibile. Comunque gli exit poll sono come gli alimenti a scadenza rigida. Valgono e sono commestibili diciamo dalle 23 della domenica all’una di notte del lunedì. Poi scadono.

Forchette. Quelli che forniscono attendibili exit poll e accurate proiezioni sul voto le chiamano così: forchette. Forchette che purtroppo quasi sempre non inforchettano nulla. Dire che c’è una “forchetta”, mettiamo del Pd tra il 22 e il 24 per cento e di M5S tra il 28 e il 30 per cento, è dire che c’è una “forchetta” tra il successo o la sconfitta politica dell’uno o dell’altro. E’ dire in maniera apparentemente documentata che…può essere tutto e niente. (Per non dire di quando spudoratamente le “forchette” fornite in tv sono larghe non due ma quattro punti percentuali).

Proiezioni. Di solito arrivano un’ora dopo gli exit poll. E appartengono a famiglia tutta diversa dagli exit poll, sono fatti di tutt’altra sostanza. L’exit poll è (o dovrebbe essere, talvolta è un sondaggio riciclato e rigenerato come si fa con il pesce non proprio freschissimo) l’elettore che dopo aver votato ti dice come ha votato (ovviamente a campione e non a caso). La proiezione sono voti veri, voti su carta, scheda e non sulla parola. Voti contati davvero. Se ne prendono alcuni appunto a campione e li si “proietta” su scala nazionale. Man mano che arrivano voti veri e scrutinati si dice prima, seconda, terza…proiezione.

Proiezioni sono infanti, bimbi piccoli. Ma della stessa famiglia e natura dei risultati veri. Diciamo che per vedere sgambettare proiezioni infanti ma formate se ne parla, si comincia verso l’una della notte tra domenica e lunedì. Dall’una all’alba.

Risultati. Qui il grosso rischio di abbagli, illusioni, delusioni, fraintendimenti. In buona e/o cattiva fede che siano. Arriveranno risultati in percentuale. E diranno in maniera inconfutabile quale partito e lista abbia raccolto più voti.

Percentuali. Contano eccome, sono i risultati delle elezioni. Ma non sono le percentuali i soli risultati né tutti i risultati. I risultati che contano davvero, veri come quelli delle percentuali, ma più veri ancora sono i seggi. E percentuali e seggi non coincideranno. Anzi potrebbero divergere di molto.

Seggi. Sono di più ma facciamo siano cento per comodità di spiegazione. Diciamo che settanta di questi seggi sono assegnati appunto in percentuale dei voti raccolti. Uno prende il 30 per cento dei viti, il 30 per cento di settanta fa 21, ha 21 seggi alla Camera. Un altro prende il 20 per cento dei voti, 20 per cento di settanta fa 14, ha 14 seggi alla Camera. Ma i seggi erano 100. E trenta di questi si assegnano non in proporzione ma secondo il principio che chi arriva prima nel collegio prende tutto e gli altri zero. Quindi può accadere che quello da 210 per cento e 20 seggi da proporzionale arriva primo in 20 collegi su 30. E quindi prende altri venti seggi. Questi venti seggi più i 14 che aveva da proporzionale-percentuale e in tutto ha 34 seggi in Parlamento. Quello da 30 per cento in proporzionale-percentuale nei trenta seggi uninominali vince solo in 4. Quindi fa 30 seggi da proporzionale-percentuale e 4 da uninominale. Totale 34 seggi. Proprio  come quello che in percentuale aveva preso solo 20 per cento.

E’ sui seggi che si decide chi ha vinto, pareggiato o perso. Il centro destra può vincere perché è partito in vantaggio nella quasi totalità dei collegi del Nord e con buone possibilità nei collegi del Sud. Berlusconi-Salvini-Meloni hanno un sacco di collegi sicuri e molti probabili. Quindi se gli va bene possono trasformare un eventuale 37/38 per cento in percentuale in quasi 300 seggi alla Camera. E quindi vincere.

M5S e Pd al contrario hanno pochi, pochissimi collegi sicuri. E quindi M5S anche con una eventuale percentuale del 28/29 per cento può restare fermo al 28/29 per cento dei seggi. In numeri: 170/180. Pd, se gli va bene, molto bene, può sperare in una somma seggi da percentuale più seggi da collegio uninominale anch’essa vicina a 170 seggi circa alla Camera.

Quindi per sapere davvero chi ha vinto e chi ha perso si guardano e si contano i seggi e non le percentuali. Anche perché come da Costituzione e da prassi (e anche da buon senso elementare) l’incarico di formare il governo il presidente della Repubblica lo dà a chi gli mostra di poter mettere intorno a sé la maggioranza dei seggi parlamentari. Questi può essere chi è arrivato primo in percentuale di voti raccolti. Ma anche no. Perché se l’arrivato primo in percentuale di voti raccolti resta solo, da solo è minoranza e non maggioranza parlamentare.

Qualunque cosa vi raccontino militanti e tifosi travestiti da giornalisti, qualunque grida o ululato venga nella notte dei risultati dai politici in televisione, qualunque sia il vostro tifo politico, se ne avete, la maggioranza che sostiene un governo si forma e si fa (se c’è, se si forma, se si fa) in Parlamento e non nell’urna elettorale. Gli elettori decidono la forza dei propri rappresentanti, non il governo. Lo farebbero, deciderebbero direttamente a chi il governo se e soltanto se dessero a qualcuno il 40 per cento dei voti.

Se non lo faranno, se gli elettori non daranno a nessuno il 40 per cento dei voti, allora avranno detto che in Parlamento va cercata e trovata alleanza, maggioranza e appunto governo. Anche questa è volontà popolare. Pura e democratica volontà popolare perché, anche se molti fanno finta di averlo dimenticato, se tre su dieci di noi vogliono una cosa e non si mettono d’accordo con nessun altro se non se stessi, allora sono sette su dieci a non essere d’accordo e quindi quei tre non sono il popolo, sono la minoranza del popolo. Ogni riferimento non è puramente casuale.

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