ROMA – Non ci sono “compiti a casa” che tengano, tagli e tasse non bastano: continua a salire a livelli insostenibili lo spread, il differenziale dei tassi di rendimento fra i titoli di Stato italiani e tedeschi, la differenza fra un Paese che deve pagare troppo l’accesso al credito e che quindi non riesce a far ripartire l’economia e un Paese che invece il credito lo trova gratis. Lo spread che balla intorno a quota 500 come in quei giorni di novembre in cui Silvio Berlusconi fu costretto a dimettersi per lasciare le redini del governo a Mario Monti. Come dieci mesi fa l’Europa assiste allo smottamento del suo Sud (Spagna, Italia, Grecia) manifestando impotenza.
Non c’è “Super-Mario” che tenga: Draghi non solo non “vola”, ma ha ammesso di avere le mani legate. Il fondo “Salva-Stati” ha cambiato sigla, da Efsf a Esm, ma non sono cambiati i dubbi sulla sua consistenza. Finora i leader europei non si sono decisi a dotarlo di un sufficiente numero di miliardi. Finora, nei fatti, è rimasto un ectoplasma. Come è mancato l’accordo sul fondo “Salva-Stati”, così continua a zoppicare la Ue nel cammino verso un’Europa più unita economicamente e politicamente.
In questo quadro complessivo, in mancanza di un intervento della Bce e del fondo “Salva-Stati”, all’Italia toccherà chiedere aiuti europei. Aiuti che Monti si è sempre rifiutato di chiedere per tre motivi, secondo il suo pensiero interpretato da Francesco Verderami sul Corriere: perché ritiene che fino ad oggi gli aiuti non hanno aiutato nessuno; perché l’Italia con le sue industrie e la sua finanza diventerebbe un articolo in offerta a prezzi di saldo per chi se la vuole comprare; perché gli aiuti implicano di fatto un commissariamento che “comprimerebbe” la democrazia nel nostro Paese. Compressione che risulterebbe molto evidente alle prossime elezioni politiche. Nei rigidi binari del “memorandum of understanding” che Monti dovrebbe sottoscrivere per aggiudicarsi gli aiuti, non c’è spazio per maggioranze che non siano “larghe” e per coalizioni che non siano “grandi”. Come quella attuale: Pd, Pdl, Udc.
Quindi sarebbero inutili tutti i giochi di alleanze nel centrodestra e nel centrosinistra e la discussione in Parlamento sulla riforma della legge elettorale. L’Italia, se chiedesse aiuti, parole di Draghi “dovrebbe sottoporsi a severe condizionalità”. Tradotto: saranno carta straccia i programmi, le coalizioni e le schede elettorali delle prossime elezioni. Il programma lo scriveranno fra Bruxelles e Francoforte e il governo o sarà commissariato – tallonato alle calcagna da ispettori europei – o sarà di un commissario. Ovvero di Mario Monti.
Ne consegue che l’unica partita alle politiche, che a questo punto è più probabile si tengano in primavera, sarà quella fra europeisti ed euro-scettici. Fronti abbastanza trasversali entrambi. Il primo annovera sicuramente l’attuale strana maggioranza. Il secondo Beppe Grillo, la Lega Nord di Maroni, e tutto quello che si muove a sinistra di Sel di Nichi Vendola e a destra de La Destra di Francesco Storace. Nel mezzo ci sono Sel e l’Idv di Antonio Di Pietro, la prima più tentata dal fronte europeista, la seconda più vicina all’euro-scetticismo grillino.
Euro sì o euro no, il contesto attuale, fatto di interconnessioni globali, di grossi blocchi politico-economici e di finanza potente quanto incontrollabile, rende pessimisti sull’autonomia di un singolo Stato nel dare un indirizzo alla propria politica. Non solo è impossibile il “socialismo in un solo Paese”, ma anche il “keynesismo in un solo Paese” e probabilmente anche l’euroscetticismo. Il prossimo voto sarà inutile. Non è detto che non lo saranno anche anni di politiche di austerity e di logoramento del Welfare.
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