Fao a Roma: in nome della fame, ignorati i diritti umani

Azam al Sadat Farahi, moglie di Ahmadinejad

Roma in stato d’assedio per tre giorni per una mega riunione della Fao che ha visto arrivare da mezzo mondo decine di capi di stato e di governo da oltre 60 paesi più o meno poveri.

Mille dei migliori agenti dei servizi di sicurezza italiani sono impegnati per garantire la tranquillità di questa scampagnata romana a gente che è stata o potrebbe presto essere sul bollettino delle ricerche internazionali e che probabilmente a qualche testa calda di qualche servizio di altri paesi ha suggerito l’idea di una mega retata.

L’elenco comprende nomi come Gheddafi, Mubarak, Ahmadinejad, Mobutu, tutta gente nota per l’attenzione volta più al proprio personale arricchimento che ai problemi della fame dei loro popoli, per non parlare dei diritti umani, essendo le loro carceri pullulanti di dissenzienti di ogni credo. Sperano probabilmente che il palcoscenico di Roma rappresenti, data la presenza di San Pietro e l’abitudine alle indulgenze plenarie, un modo per renderli più presentabili alla comunità internazionale.

Ci sarà anche il Papa, Benedetto XVI, che nei paesi del terzo mondo vede il più grande potenziale di conversioni e ci sarà anche il primo ministro italiano Silvio Berlusconi, incastrato nella cerimonia inaugurale in quanto capo del governo del paese ospitante, ma estremamente felice dell’occasione che gli viene data per non doversi presentare a Milano al processo per i diritti Mediaset, appena ripartito dopo ls bocciatura del lodo Alfano.

Berlusconi troverà al vertice Fao vecchi e nuovi amici, come il turco Erdogan, l’egiziano Mubarak, il libico Gheddafi: gente di cui si parla più per vicende giudiziarie (Erdogan) e per lo scarso rispetto per opposizioni e diritti umani che per l’attenzione a temi come quelli in agenda.

Non troverà invece persone almeno all’apparenza più rispettabili come il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel: hanno di meglio da fare e probabilmente non vogliono nemmeno mescolarsi troppo.

Il vertice è stato preparato con cura e molta attenzione all’impatto sui giornali, anche se nessuno lo ha citato, dal direttore generale della Fao, Jacques Diouf, più interessato di tutti al successo dell’iniziativa, da cui dipende innanzi tutto la sopravvivenza di una delle istituzioni più inutili, se non per quelli che lavorandoci ricevono stipendi molto fuori mercato.

Diouf ha toccato il tasto delle donne, con un tema, quello rivendicazionista, che le vede superare qualsiasi differenza ideologica, politica, religiosa. Ha detto Diouf: “Le donne coprono il 60-80% della produzione di derrate alimentari nel mondo, eppure non hanno accesso alle risorse”, frase chiaramente senza senso perché non spiega in che misura quell’accesso sia negato e dove.

Sempre per andare sui giornali, Diouf ha avuto anche l’idea di uno sciopero della fame, non di quelli veri alla Pannella si intende, ma di quei normali digiuni che sono contemplati su base settimanale e annuale da religioni come il cristianesimo e l‘islam per i loro fedeli, o, nelle nuove religioni pagane, dai dietologi.

Ha colto al balzo l’occasione di far parlare i giornali il sindaco di Roma, Gianni Alemanno: dopo tanti stupri e rapine su cui fare accorate dichiarazioni, l’idea di 24 ore di digiuno è parsa ottima, magari anche per smaltire qualche etto di troppo. Alemanno ha anche colto l’occasione per fare sapere ai romani di digiunare in ufficio (forse perché a casa il frigorifero è troppo a portata di mano): “Non mi occupo soltanto della fame nel mondo, ma approfitto di questa notte che trascorrerò in Campidoglio per continuare a lavorare per i romani”. Forse inconsciamente, Alemanno si richiamava a un modello del passato, ormai da lui esternamente ripudiato: la luce del suo studio a palazzo Venezia non si spegneva mai.

Il programma del vertice Fao prevede, dopo l’apertura da parte del direttore generale della Fao Jacques Diouf, l’intervento del presidente del Senato italiano, Renato Schifani, seguito dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki moon, dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno e dall’insediamento di Berlusconi quale presidente della sessione. Per l’onore dell’Italia, speriamo che non si addormenti al tavolo.

In tarda mattinata, intervento di papa Benedetto XVI, con successivo incontro di alcuni capi di Stato africani.

Poi la stura alle parole di tutti gli altri capi di stato – da Gheddafi a Mubarak, a Lula, e una tavola rotonda su come minimizzare l’impatto della crisi dei prezzi e di quella economica e finanziaria sulla sicurezza alimentare mondiale.

Un anticipo di quel che potranno dire al vertice, lo hanno dato le mogli dei capi mediorientali domenica. Hanno fatto un convegno, hanno tenuto conferenze stampa. La moglie di Mubarak, Suzanne, ha detto: “Obbligheremo tutti i capi di Stato e di governo a mantenere gli impegni presi. Abbiamo sentito tante promesse che però la Comunità internazionale non sta mantenendo. Noi dobbiamo obbligare i capi di Stato e di governo a farlo”.

La moglie di Ahmadinejad ha invece rivendicato la bontà dell’esperimento iraniano, realizzato seguendo “gli insegnamenti religiosi, per riuscire garantire la sicurezza alimentare alle famiglie”. Ha spiegato che in Iran è in atto un esperimento che prevede, tra l’altro, un forte supporto nella diffusione dell’allattamento tra le mamme, ma anche la cooperazione e l’aiuto sociale tra le piccole famiglie. Ed ha sottolineato l’importanza dei diritti delle donne alle quali i loro mariti devono garantire cibo, vestiti e la casa. Un’attenzione particolare, nel programma iraniano per la sicurezza alimentare, è prevista anche per la protezione e diffusione dell’acqua e dell’agricoltura.

Ha però dimenticato il dato fondamentale: che la fame si combatte indirizzando risorse a quel fine, distogliendole da acquisti costosi e inutili come le armi e dal dirottamento di quei denari verso i conti nei paradisi fiscali. In questo Ahmadinejad ha fatto molto a favore delle masse povere dell’Iran, provocando l’irritazione delle classi medie del suo paese che hanno trasformato in eroe della libertà un altro complice degli ayatollah, Mousawi, appartenente all’establishment.

A protestare contro la signora Ahmadinejad e la sua presenza a Roma ha comunque già provveduto l’Associazione dei rifugiati politici iraniani residenti in Italia, che “chiede al governo italiano di espellere dal territorio italiano la moglie di Ahmadinejad prima possibile evitando il propagarsi delle propagande terroristiche iraniane in Italia e in Europa. Riteniamo la presenza della moglie di Ahmadinejad in Italia un fatto gravissimo ed un errore politico da parte del governo del presidente Berlusconi”.

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