Feltri: “Farefuturo? Fini cambi difensori”

«Quelli di Farefuturo hanno sbagliato tutto, anche il nome che si sono dati. Perchè non è vero che fanno futuro ma fanno passato, per giunta remoto. E poichè hanno cattiva memoria, sbagliano pure in questo» Così si apre il fondo di Vittorio Feltri sul Giornale che sarà in edicola domani.

Feltri replica alla Fondazione presieduta da Fini. «Ieri – scrive il direttore sul quotidiano di domani – forse per essere spiritosi, forse per criticare il Giornale e me con l’aria però di non prenderci sul serio, hanno scritto sul loro sito web la seguente cosa: “Vittorio Feltri è il Comunardo Niccolai del giornalismo politico. Un difensore che segna a ripetizione solo nella propria porta. Chissà se il presidente del Consiglio editore è consapevole che un governo è come uno scudetto. Si può perdere a furia di autogol… E gli arbitri non c’entrano nulla”».

«L’errore – sottolinea Feltri – non sta in questo caso nel ricorrere a una metafora calcistica bensì nello sceglierne una completamente sballata rispetto a quanto si vuol dire. In effetti, Comunardo Niccolai pur essendo un ottimo stopper negli anni Sessanta-Settanta, segnò alcuni gol alla squadra nella quale giocava. Ciò tuttavia non gli impedì, nella stagione ’69-70, di vincere lo scudetto col Cagliari dove disputò più partite (29 per l’esattezza) di tutti i suoi compagni eccetto Albertosi, Domenghini e Gori . Non solo. Niccolai registrò tre presenze in Nazionale. Quindi se il Cagliari conquistò anche grazie a lui il campionato italiano, e se anche grazie a lui gli azzurri si piazzarono al secondo posto ai mondiali in Messico, significa che lo stopper (e di conseguenza il direttore del Giornale) portava quantomeno fortuna, ciò di cui il presidente del Consiglio ha bisogno in questo momento».

«Mi auguro – conclude – che la sfiga di Farefuturo nella scelta delle metafore dedicate ai critici (non malevoli) di Gianfranco Fini non si estenda su di lui. Che, per prudenza, dovrebbe cambiare difensori. Non si sa mai. Occhio, non è una minaccia al presidente della Camera, ma un affettuoso consiglio».

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