Dopo la richiesta della ventisettesima fiducia, il presidente della Camera Fini si infuria e riaccende la sua battaglia personale contro uno strumento a cui si deve ricorrere «solo in modo eccezionale. E se stritola il confronto su un testo complesso è deprecabile».
Il ricorso alla fiducia è stato per anni quasi un “rito” per le finanziarie e le manovre correttive, fino al testo “monster” di un solo articolo da 1.265 commi del dicembre del 2006 (governo Prodi). Ma Fini, fin da subito, non ha nascosto la necessità di controbilanciare il ruolo del Parlamento rispetto ad un baricentro che in campo economico, dopo le ultime elezioni, si è spostato in favore dell’esecutivo. Una realtà che ha recentemente portato ad una pausa forzata della Camera, proprio per l’impossibilità di calendarizzare in aula progetti di legge senza la necessaria copertura.
Il primo intervento di Fini è sulla manovra-blitz voluta dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti nell’estate 2008. «E’ una prerogativa di cui il governo ha il diritto di avvalersi – dice Fini il 29 luglio – Ma l’auspicio è che il ricorso alla fiducia sia davvero motivato ed eccezionale e non diventi una sorta di scorciatoia per aggirare il regolamento».
Fini vince la sfida nel novembre 2008. In commissione Bilancio il governo esprime parere negativo a tutti gli emendamenti alla “Finanziaria Snella”. Il testo passa indenne, blindato, senza alcuna modifica. Il presidente della Camera parla di situazione «anomala», che «toglie al Parlamento il diritto di emendare» una legge «di grande valore politico». E aggiunge: «Sarebbe politicamente deprecabile se il governo intendesse mettere la fiducia». In aula si votano gli emendamento e l’ok è senza fiducia.
La battaglia successiva è sul decreto anti-crisi. Il ministro Elio Vito pone la fiducia sul testo uscito dalla commissione «in rispetto alla centralità del Parlamento». Fini risponde: «È la prima volta che sento mettere la fiducia con questa ragione». «L’omaggio al Parlamento si fa se si consente alle commissioni di lavorare e ai singoli parlamentare di esprimersi in aula». La fiducia comunque si vota il giorno dopo.
La fiducia arriva anche con la manovrina anti-crisi portata dal governo a ridosso della pausa estiva del 2009. Fini chiede che la fiducia sia messa sul testo della commissione. Quando viene però presentato il maxi-emendamento il presidente della Camera scopre un «consistente ampliamento dell’intervento normativo». Scatta la scure e, nell’esame di ammissibilità, saltano una serie di norme.
Fini avverte il governo con tre settimane di anticipo. Dice: «Il presidente della Camera sarebbe in grande difficoltà se la fiducia non fosse posta su un testo che esce dalla commissione ma su un maxi-emendamento del governo». Il nodo è che in commissione Bilancio il testo viene emendato con un “maxi” firmato dal relatore, ma concordato in modo serrato con il governo, con la commissione sottoposta a continui rinvii. L’opposizione protesta ed esce dell’aula. Così, quando arriva la fiducia, in aula Fini rispolvera l’aggettivo «deprecabile».
I commenti sono chiusi.