Fini promette che nel 2013 sarà primo ministro. Compagni, nemmeno un po’ di imbarazzo

di Marco Benedetto
Pubblicato il 8 Novembre 2010 - 12:38| Aggiornato il 9 Novembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Gianfranco Fini

Credo di essere stato tra i primi a capire il pericolo che Silvio Berlusconi rappresentava per la democrazia italiana, quando ancora solo Giovanni Valentini battagliava e Carlo Caracciolo, che poi ne divenne il più incrollabile avversario, sosteneva che era “un bravo ragazzo” e andava aiutato.

Posso anche dire di avere un merito secondo solo a Eugenio Scalfari e Caracciolo stesso, quando ormai si era resoconto dell’errore e pentito, nell’avere contribuito a evitare che Repubblica virasse verso la sirena berlusconiana.

Sono stato tra i pochissimi di quell’Alamo che provò a resistere, nel disinteresse diffuso degli editori di giornali, allo strapotere di Berlusconi al ministero delle Poste, non quando c’era Maurizio Gasparri, ma ai tempi della Bicamerale, ai tempi in cui il Pci fingeva di ascoltare le ragioni dei giornali e poi dava ordine ai suoi uomini di favorire lo sforzo lobbistico congiunto del partito Rai e del partito Mediaset.

Con queste credenziali, che pochi in Italia possono vantare, mi posso permettere di manifestare il fastidio che ho provato in  questi ultimi mesi, e continuo a provare, nel vedere la trasformazione di un ex fascista come Gianfranco Fini in un maître à penser della sinistra e in una specie di eroe della resistenza al nuovo Mussolini. (Che Berlusconi lo abbia a modello non c’è dubbio, ma l’Italia di oggi, anche grazie all’ancoraggio europeo, è cosa ben diversa da quella del 1922).

Non ho pregiudizi nei confronti dei fascisti. Ce ne sono anche di simpatici, come in tutte le fedi. Quanto meno fino all’ingresso nell’area di governo ho anche sempre avuto l’impressione che la percentuale di persone per bene nelle loro file fosse superiore agli altri partiti. E poi non si deve scordare che il fascismo fa parte della nostra identità nazionale, viviamo ancora in parte della sua eredità, nel bene e nel male, soprattutto nell’apparato statale e nell’intervento pubblico nel capitale aziendale. Credo che il rifiuto di accettare il fascismo come parte della nostra storia dipenda dalla paura di confrontarci con noi stessi e il nostro passato, inclusa la paura di scoprire bugie che ci sono state imposte come dogmi e anche che il male assoluto è in realtà un concetto relativo.

Considero sciocco bigottismo chi definisce brutta l’architettura fascista in quanto fascista. Mi piace l’architettura razionalista di quel periodo, anche perché non rappresenta una peculiarità italiana ma è solo la traduzione in italiano di un movimento mondiale. Certo non so se piangere o ridere quando in una traversa di viale Trastevere a Roma, noto sulla facciata di un bellissimo edificio, che l’architetto architetto Luigi Moretti progettò per la Gioventù del littorio, una delle massime del Duce, “importante vincere, più importante combattere”, restaurata perfettamente e recentissimamente, come se il furore iconoclasta che faceva cancellare le rodomontate mussoliniane da tanti muri italiani si fosse stemperato nel nuovo clima.