Fini-Tulliani-Walfenzao-Corallo: la casa a Montecarlo, gli ex An e il business dei videopoker

Gianfranco Fini con sua moglie, Elisabetta Tulliani (LaPresse)

MILANO – C’è un filo rosso che collega il presidente della Camera Gianfranco Fini a Francesco Corallo, latitante “re del gioco d’azzardo” ricercato dall’Interpol e figlio di Gaetano, uno che secondo gli inquirenti milanesi “in passato era in affari con il clan catanese dei Santapaola”. È il computer di Francesco Corallo, che come ha rivelato il settimanale L’espresso, conteneva delle copie di documenti che legano Giancarlo Tulliani e sua sorella Elisabetta, rispettivamente cognato e moglie di Fini, a James Walfenzao, factotum e socio di Francesco Corallo.

Un iceberg scoperto grazie alla “punta”: una casa a Montecarlo in Boulevard Princess Charlotte, civico 14. Immobile di 55 metri quadri che la contessa Anna Maria Colleoni nel 1999 aveva lasciato in eredità ad Alleanza Nazionale e che è stato venduto dal partito per soli 300 mila euro a due società di copertura. Dietro le società, ha appurato l’inchiesta, c’era James Walfenzao, acquirente dell’immobile. Il cui vero usufruttuario, la persona che ci viveva, era Giancarlo Tulliani. Gli ex compagni di partito e Il Giornale accusarono Fini di aver svenduto la casa al cognato. Lui replicò: “Mio cognato non è l’acquirente. Se venisse dimostrato il contrario, mi dimetto”. Si indagò su un ipotesi di reato: truffa ai danni di Fini e dell’ex tesoriere di An Francesco Pontone. L’inchiesta venne archiviata nel marzo 2011.

Ma i documenti venuti fuori nelle ultime ore provano che dietro le società offshore che hanno comprato a prezzi di saldo quella casa c’era Walfenzao e che dietro Walfenzao c’era Tulliani. Cosa che era nota agli inquirenti. Ma che non ha smosso Fini dalla poltrona di presidente della Camera: “Non ho mai mentito o nascosto qualcosa agli italiani e per questo continuerò il mio impegno politico a testa alta”. Ma, come spiega un’inchiesta di Claudio Gatti sul Sole 24 Ore, su quell‘intreccio fra casa e videopoker Fini dovrebbe chiarire molti aspetti.

Gatti ricostruisce un “incontro” fra le due sponde dell’Atlantico. Da una parte, ai Caraibi, c’erano Francesco Corallo e James Walfenzao. Dall’altra c’erano uomini di An vicini a Fini che volevano entrare nel business dei videogiochi-videopoker. Rivela un testimone anonimo a Gatti:

“In questo settore iper-regolamentato è fondamentale avere una lobby o una copertura politica […] Francesco Corallo, proprietario di fatto di Atlantis World Giocolegale, poi diventata BPlus, aveva cominciato le sue attività nel campo dei videogiochi legato all’area di An. Dopo un inizio tormentato, le cose si erano messe bene e Corallo aveva raggiunto il 30% circa di quel mercato. Ma la rottura tra Fini e Berlusconi ha fatto saltare tutti gli equilibri. E la guerra intestina che ne è conseguita ha rovinato tutto”.

Era “un bel giocattolino”, invece è diventato lo specchio della commistione tutta italiana tra business, finanza e politica. E i suoi protagonisti principali sono, uno alla volta, finiti sotto inchiesta. O nei pasticci. Parliamo dello stesso Corallo, dell’ex presidente di Bpm Massimo Ponzellini che lo ha finanziato per quasi 150 milioni di euro, del suo spicciafaccende Antonio Cannalire. E poi dello stesso Fini.

È un secondo testimone, di cui Gatti preserva l’anonimato, a rivelare l’evoluzione dell’affare videopoker:

“Una volta trovato il modo di far funzionare il giocattolino, a Corallo non fu consentito di godere dei suoi frutti esautorando gli ideatori e sponsor politici del progetto. Gli uomini legati ad An chiesero delle garanzie. Emerse così il nome di Amedeo Laboccetta, storico esponente della destra campana amico sia di Corallo che del capo di An Gianfranco Fini. E a lui venne affidata la procura generale di Atlantis”.

Mentre Laboccetta si occupa di Atlantis, i fratelli Tulliani – “in particolare Giancarlo”, riporta Gatti – iniziano a frequentare l’azienda di Corallo. Corallo che “sponsorizza” con centinaia di migliaia di euro la Keis, società di comunicazione e spettacolo che ha fra i suoi soci la figlia e il nipote di Francesco Proietti, detto Checchino, braccio destro di Fini (leggi: “Un hub delle pomparelle a servizio della Roma d’affari e di governo di dieci anni fa”).

Laboccetta si guadagna uno scranno alla Camera dei deputati, eletto con il Pdl alle politiche del 2008. Come parlamentare però deve rinunciare alla procura di Atlantis, per un ovvio conflitto di interessi. Nel frattempo Walfenzao crea Printemps e Timara, le società alle quali sarà venduta la casa di Montecarlo. Secondo i pm di Milano, la casa potrebbe essere stata comprata e poi ristrutturata con soldi riconducibili ad Atlantis.

Poi però arriva la primavera del 2010 e con essa la rottura fra Fini e Berlusconi. Laboccetta non segue Fini e resta nel Pdl. Poco tempo dopo l’Avanti! diretto da Valter Lavitola e Il Giornale di casa Berlusconi pubblicano le carte che fanno scoppiare lo scandalo della casa a Montecarlo. Vicenda archiviata a marzo 2011, come abbiamo visto. Ma che riemerge nel novembre del 2011, come racconta Gatti:

agenti del Nucleo di Polizia Tributaria di Milano entrano in casa di Corallo a Roma e tentano di sequestrare il portatile che trovano. Corallo resiste, chiama il suo fido Laboccetta, il quale invoca l’immunità parlamentare per il computer, che dichiara proprio sottraendolo alla Finanza. In seguito al parere favorevole della Giunta per le autorizzazioni della Camera, Laboccetta è poi costretto a consegnare il pc alla Guardia di Finanza. Il portatile risulta essere stato sottoposto a cancellazione da ben due appositi programmi, Cleaner e Eraser. Ma l’ingegnoso perito dei pm riesce comunque ad appurare che fino a pochi giorni prima il nome dell’hard disk era “pc Francesco”. Nome di battesimo di Corallo.

Sul “pc Francesco” sono stati scoperti i documenti che tirano in ballo di nuovo il cognato di Gianfranco Fini. Dal “pc Francesco” nascono una serie di interrogativi ai quali uno che “non ha mai mentito o nascosto qualcosa agli italiani” dovrebbe rispondere.

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