Psicodramma primarie Pd: regole da cambiare o candidati impresentabili?

Pubblicato il 14 Febbraio 2012 - 12:28 OLTRE 6 MESI FA

Il segretario del Pd Bersani (foto LaPresse)

ROMA – Bisogna saper perdere, di questo va dato atto a Bersani: è sereno, dopo l’ennesimo choc delle primarie di Genova. Psicodramma è la parola più ricorrente. Marta Vincenzi, il sindaco uscente, piange, l’hanno fatta fuori perché donna, si sente una novella Ipazia, perseguitata dall’intellighentsia, dai giovani, dai giornalisti, perfino da Don Gallo. Roberta Pinotti, l’altra candidata Pd, quella della segreteria, medita un ritiro a vita privata, dopo aver voluto a tutti i costi la contesa, uscendone con le ossa rotte, addirittura doppiata dal vendoliano indipendente Doria.

Bersani è sereno, ma intanto tutti i vertici del partito in Liguria si sono dimessi. E’ partita la caccia al colpevole, la debacle alle primarie nelle grandi città sta diventando una routine: Genova viene dopo Milano, Napoli, Cagliari. E’ colpa del meccanismo delle primarie, va cambiato il regolamento? O è colpa delle candidature, impresentabili? Certo il tafazzismo del Pd è evidente: a ogni tornata di selezione del candidato sono pochissime le volte in cui ne presenta uno e uno soltanto da contrapporre al contendente vendoliano. Alla fine tra i due litiganti è sempre il terzo a godere, anche se va riconosciuto che a Torio Fassino ce l’ha fatta comunque.

Ma le modifiche al regolamento delle primarie che a questo punto si imporrebbe e che Bersani adotterebbe volentieri è largamente osteggiata nel partito: e poi per fare cosa, le primarie delle primarie? Il problema sta a monte, riconosce Cofferati e come lucidamente illustra Marcello Sorgi sulla Stampa. Il partito, così come gli altri partiti organizzati, hanno perso il contatto con la gente che intende rappresentare, la disaffezione è a livelli altissimi, i campanelli di allarme delle ultime consultazioni elettorali non sono stati ascoltati. I partiti, Pd in testa, non sono riusciti ad autoriformarsi come pure chiedeva a gran voce l’opinione pubblica. Il termine “casta” è diventato moneta corrente per descriverne ogni attività, gli stop and go su retribuzioni dei parlamentari e vitalizi non hanno aiutato.

Sono gli effetti dell’antipolitica aggravata dalla mancanza contingente di agibilità politica delegata a un governo di tecnici. In più, nota Sorgi, “contrariamente a quel che molti militanti democratici si aspettavano, il Pd proprio in questi ultimi giorni è apparso come il perno di un progetto di riforma elettorale proporzionale che punta a ridare pieni poteri ai partiti nella formazione dei governi, togliendo ai cittadini il diritto di sceglierseli”. Ora il rischio è che il partito si spacchi proprio sulle primarie. Per Marini, contrario delle prima ora, più candidati significa meno democrazia, non  più democrazia. Veltroni, Renzi la pensano all’opposto.

Salvatore Vassallo (che dello statuto del Pd è autore e le primarie le difende a spada tratta) fa un’analisi in termini di voti: “La forza elettorale del Pd, misurata alle regionali del 2010, è pari al 35 per cento dei votanti, quella di Sel al 2,8 per cento. Il rapporto tra l’elettorato del Pd e quello dei partiti alla sua sinistra è di 5 a 1. Il problema sta forse nella reputazione della sua attuale classe dirigente”. Reputazione, regolamenti, antipolitica. In ogni caso non sarà un maquillage della legge elettorale a risollevare le sorti di un Pd comunque in testa in sondaggi dei quali manca ancora l’analisi delle voci più importanti: astensione, indecisi, schede bianche, insieme il partito largamente maggioritario in Italia.