ROMA – Giulio Andreotti è morto e tutti hanno qualcosa da dire su di lui. Del resto, le premesse c’erano tutte, per questa alluvione di dichiarazioni. Andreotti è stato l’uomo più istituzionale della Repubblica italiana: 7 volte presidente del Consiglio, 8 ministro della Difesa, 5 degli Esteri e 2 delle Finanze, del Bilancio e dell’Industria. È talmente identificabile con il governo che, dice Ciriaco De Mita, suo avversario nella Dc, “quando non c’era (il governo) perdeva lucidità”.
La vita e l’agire politico di Andreotti concidono con la stagione migliore e forse con la stagione peggiore della Repubblica. Lo statista morto a 94 anni è stato il punto di contatto con la generazione che ha liberato, ricostruito e rilanciato l’Italia e quella che, negli anni del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) ha dissipato tutto questo col debito pubblico e la corruzione.
L’uomo che risolveva tutto con una battuta, quello che teorizzava che i problemi si dividono in tre tipi: quelli che si risolvono da soli e di cui non vale la pena di occuparsi; i problemi senza soluzione, di cui è vano occuparsi. E il terzo tipo? Se non risolvono da soli e se non sono irrisolvibili, allora non sono veri problemi: occuparsene è inutile.
Dice Fabrizio Cicchitto che era “l’uomo della mediazione” e in effetti con tutti aveva mediato: i comunisti, i terroristi, i mafiosi, i russi, gli americani, i palestinesi, gli israeliani… “Per lui la mediazione era l’essenza della politica e andava esercitata con tutti, dal Pci ai grandi gruppi economico finanziari agli alleati politici fino anche alla mafia tradizionale, mentre invece condusse una lotta senza quartiere contro quella corleonese, fedele in modo totale in una prima fase alla Alleanza Atlantica, in una seconda perseguì intese e rapporti anche con l’URSS e il mondo comunista. Egli diede anche espressione a quella parte della Dc che scelse di avere rapporti preferenziali con il mondo arabo nella moltelplicità delle sue espressioni”.
Filo-arabo capace però di essere “amico di Israele”, come lo ha ricordato Shimon Peres. Racconta Avi Pazner, ex ambasciatore di Tel Aviv a Roma e consigliere di Shamir: “Era certamente filo arabo, ma sapeva farlo con un occhio rivolto sempre ad Israele. È stato di grande aiuto allo stato ebraico per far uscire gli ebrei sovietici dall’Urss. Sapeva mantenere un dialogo stretto con Israele e faceva le cose con grande discrezione e abilità. Era il suo stile”.
Uno sguardo alla politica estera, un altro al campionato di Serie A. Per questo nel giorno della sua morte lo ricorda Francesco Totti: “Giulio Andreotti amava lo sport, il calcio e la Roma: giallorosso come pochi, sono certo che continuerà a fare il tifo per noi anche dal cielo con la stessa passione di tutta una vita”.
Diceva di essere “uno di media statura, ma intorno a me non vedo giganti”. Finì la stagione dei giganti e iniziò quella dei nani, per cui oggi che è morto sembra un colosso, come riconoscono anche i giornali americani: “Con la sua schiena incurvata e il suo umore tagliente Giulio Andreotti è stato un’icona, seppur controversa”, ha scritto il Wall Street Journal: “Nell’arco di sei decenni ha tirato l’Italia fuori dalle rovine della seconda guerra mondiale, guidandola in un periodo di prosperità economica”. Anche il Washington Post ricorda Andreotti come “uno degli uomini più potenti nell’Italia del dopoguerra”, “amico di papi e cardinali”. E “figura controversa scampata agli scandali sulla corruzione e alle accuse di essere contiguo alla mafia”. Per il New York Times ha passato tutta una vita “nel centro di gravità politico” e la sua carriera “ha incarnato le contraddizioni dell’Italia del dopoguerra”. “Con Andreotti in un posto chiave o in un altro, l’Italia ha superato la distruzione della guerra e la minaccia dello stalinismo, ha gestito sconcertanti problemi sociali, ha sconfitto il terrorismo e lottato contro il crimine organizzato. Ma per garantire il potere della Democrazia Cristiana Andreotti ha contribuito a costruire un sistema di clientelismo che ha generato una vasta corruzione”.
È un giorno di fiori, di onori, ma anche di vituperi per Giulio Andreotti. Si va da giudizi più sfumati, come quello di Massimo Teodori che, da radicale, è stato suo accusatore in due commissioni d’inchiesta “P2” e “Sindona”: “È stato come dottor Jekyll e mister Hyde“. “Per un verso il divo Giulio è stato il più sperimentato uomo di Stato della Repubblica che ha gestito con piglio aperto, sicuro e imperturbabile il potere istituzionale. Per un altro ha mantenuto rapporti e si è servito in maniera spregiudicata dei più ambigui personaggi del sottopotere oscuro, pubblico e privato. Ma, forse, l’on. Andreotti-Jekyll non sapeva o non voleva sapere quel che faceva Mr. Andreotti-Hyde. Basta leggere i suoi diari in cui mai compaiono quei personaggi chiacchierati che pure hanno costantemente costellato la sua lunga vita”.
Se la grillina Giulia Sarti commenta la sua morte come quella di “un condannato prescritto”, un altro suo accusatore, Gian Carlo Caselli, lo vede più o meno nella stessa maniera: “Dell’attività politica del senatore Giulio Andreotti non posso parlare perché non mi compete. Del processo che cominciò quando ero a capo della procura di Palermo, osservo che dopo l’assoluzione in primo grado porto’ in appello ad una affermazione di penale responsabilità fino al 1980; il reato, ritenuto commesso, fu dichiarato estinto per prescrizione. Il senatore fu dunque dichiarato colpevole fino al 1980”. Nel processo per associazione di stampo mafioso che venne intentato a carico di Andreotti, la sentenza d’appello venne confermata dalla Cassazione. Caselli sottolinea che fu lo stesso Andreotti a presentare ricorso: “Non lo avrebbe fatto se davvero fosse stato stato assolto. A suo carico furono provati due incontri in Sicilia, con Stefano Bontade e altri mafiosi, per discutere, dice la sentenza, di fatti gravissimi, riguardanti la delicata questione di Piersanti Mattarella”, il numero uno della Dc siciliana ucciso dalla mafia.
Forse però il servizio peggiore glielo rende Silvio Berlusconi, nelle cui parole è evidente l’intenzione di far intravedere il presente (Berlusconi) nella filigrana del passato (Andreotti): “Contro la sua persona la sinistra ha sperimentato una forma di lotta indegna di un Paese civile, basata sulla demonizzazione dell’avversario e sulla persecuzione giudiziaria: un calvario che Andreotti ha superato con dignità e compostezza, uscendone vincitore. Quello usato contro di lui è un metodo che conosciamo bene, perché la sinistra dell’odio e dell’invidia ha continuato a metterlo in campo anche contro l’avversario che non riusciva a battere nelle urne”.
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