Ormai è scontro aperto tra i magistrati italiani e il governo: prima l’annuncio che, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, le “toghe” diserteranno l’aula mentre parleranno i rappresentanti del ministero; ora il comunicato, da parte dell’Associazione Nazionale Magistrati, che dice «basta» alle «riforme distruttive del sistema giudiziario». Alfano, da parte sua, ha reagito dicendo che il sindacato dei giudici rischia di «macchiare» questa giornata e che non rappresenta i magistrati che lavorano per il bene dei cittadini.
Il sindacato dei giudici punta l’indice contro «leggi prive di razionalità e di coerenza, pensate esclusivamente con riferimento a singole vicende giudiziarie e che hanno finito per mettere in ginocchio la giustizia penale in questo Paese». La richiesta è contenuta nel documento che i rappresentanti dell’Associazione nazionale magistrati leggeranno il 30 gennaio, in occasione delle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario. In quell’occasione i giudici manifesteranno fuori dalle aule vuote tenendo in mano la Costituzione.
«Non intendiamo assuefarci ad un costume politico che ha reso pratica quotidiana l’insulto e il dileggio», afferma l’Anm. E invece «ogni giorno siamo costretti ad ascoltare invettive e aggressioni nei confronti dei magistrati. “Cloaca”, “cancro”, “metastasi”, “disturbati mentali”, “plotoni di esecuzione” sono solo alcune delle espressioni utilizzate dal capo del governo e da esponenti politici di primo piano nei confronti della magistratura».
«I magistrati – sottolinea l’Anm – non sono parte di un conflitto e non sono contrapposti a nessuno. Per questo diciamo basta alle aggressioni». L’Anm punta l’indice anche contro «la “campagna mediatica” condotta da taluni organi di stampa contro i magistrati», che «si alimenta di dati e informazioni false e che dipinge i magistrati come fannulloni strapagati, unici responsabili del dissesto del sistema giudiziario».
Per contrastarla l’Anm ha pubblicato e diffuso dati ufficiali del rapporto della Commissione europea (CEPEJ) che «smentiscono in maniera oggettiva queste menzogne»: un dossier che sarà distribuito durante le cerimonie del 30.
Il documento mette nel mirino più riforme del governo e della maggioranza, a cominciare da quella sul processo breve: già con la Legge ex Cirielli – scrivono le toghe – «il numero di processi che si chiudono con la prescrizione è balzato alla impressionante cifra di 170 mila l’anno».
Ma questi aumenteranno «in maniera esponenziale» se dovesse diventare il ddl sul processo breve «che ridurrà il processo penale ad una tragica farsa e determinerà un rischioso disordine organizzativo con effetti pregiudizievoli sulla tutela dei diritti dei cittadini anche nel settore civile».
«Rispettiamo l’autonomia del Parlamento – afferma l’Anm- ma è nostro dovere segnalare alla politica gli effetti e le ricadute che singoli provvedimenti legislativi possono avere sul sistema. Sentiamo pertanto il dovere di dire che se dovessero essere approvate anche la riforma delle intercettazioni e la riforma del processo penale proposte dal Governo e in discussione in parlamento, non sarebbe in nessun modo possibile assicurare giustizia in questo Paese».
In alternativa a quelle «distruttive» l’Anm chiede che si facciano le «vere riforme» , quelle che cioè servono a rendere più celeri i giudizi. Le toghe sollecitano la revisione delle circoscrizioni giudiziarie; la riforma delle procedure nel civile e nel penale, per togliere alla parte «che ha interesse al prolungamento del processo la possibilità di “abusare” dei diritti per sottrarsi alle proprie responsabilità, l’informatizzazione dei processi, la depenalizzazione dei reati minori e la introduzione di pene alternative al carcere».
Inoltre chiedono «investimenti sul personale amministrativo, sulla riqualificazione, sull’innovazione informatica; risorse e mezzi»adeguati alla gravità della situazione.
Nel frattempo i magistrati abruzzesi hanno fatto sapere che resteranno in aula quando interverrà il ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Il presidente dell’Anm dell’Abruzzo, Giampiero Di Florio, ha detto che la «decisione di non abbandonare la sala è stata presa proprio per la presenza del ministro e, quindi, per rispetto nei confronti dell’Istituzione», oltre che «per la situazione in cui versa la Corte» abruzzese.
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