Il governo del fare…un tubo. Un’oretta tre volte al mese e solo cinque leggi andate in buca

ROMA – Quattordici riunioni in tre mesi della durata media di un’ora e cinque minuti. Totale quindici ore e spicci di lavoro da marzo ad oggi. Sono questi i numeri della mole lavorativa del Consiglio dei Ministri. Quello del ministro non rientrerà probabilmente tra quelli che si definiscono lavori “usuranti”. Certo, i ministri lavorano anche al di fuori delle riunioni di Governo, ma vista la quantità di provvedimenti approvati in questo ultimo trimestre la definizione tanto cara al premier di “governo del fare” appare quantomeno benevola. Scorrendo i provvedimenti di legge adottati dal governo da marzo a oggi, eccezion fatta per i decreti legislativi, solo cinque figurano come norme già approvate. E tra le poche norme partorite dal Consiglio dei Ministri e trasformate in legge c’è il decreto omnibus, quello che conteneva, tra l’altro, la moratoria sul nucleare che si sa che fine abbia fatto.

L’ultima seduta in ordine cronologico è datata 14 giugno, durata 30 minuti ma sufficiente a certificare l’ennesimo strappo Pdl/Lega sul dramma dei rifiuti in Campania. Assenti Berlusconi e Bossi il Consiglio dei ministri non è approdato a nulla. In questi tre mesi, complice la paralisi legislativa delle Camere dovuta ai numeri traballanti, il Governo ha registrato quattordici riunioni, una media di 65 minuti l’una, 905 minuti nel complesso e cioè 15 ore e passa di lavoro, con record di rapidità – 10 minuti il 31 maggio, 20 minuti il 19 maggio – e picchi di impegno: come le due ore e 15 minuti dedicate il 5 maggio al decreto sviluppo e al codice del turismo voluto dalla Brambilla.

Il 3 marzo via al decreto legislativo sul federalismo municipale, bocciato in precedenza dalla Bicameralina e oggi fonte di lamentazioni dei sindaci d’ogni colore; il 23 marzo, dopo il grido di dolore del mondo della cultura e lo sciopero dei «sipari» in molti teatri, arrivano 149 milioni per rifinanziare il Fondo Unico per lo Spettacolo, reperiti però aumentando le tasse sulla benzina, con scarso gradimento degli automobilisti. Lo stesso giorno, sempre nel decreto omnibus, spunta alla voce «taglio dei costi della politica» la norma poi ribattezzata «salva-Alemanno e Moratti» per evitare alle città con più di un milione di abitanti il taglio dei consiglieri comunali da 60 a 48: affossata due giorni dopo grazie alla moral suasion del Quirinale.

Tra gli altri provvedimenti varati dal Governo e trasformati in legge c’è poi il decreto sullo svolgimento delle assemblee societarie; la legge per gli assegni una tantum ai nostri militari e alle forze dell’ordine; le disposizioni urgenti per il voto sui referendum degli italiani all’estero; e la proroga perla delega sul federalismo fiscale tanto cara al Carroccio. Un menù alquanto scarno, soprattutto se commisurato con le promesse e gli annunci di riforme sbandierate a più riprese. Come la decantata «frustata» all’economia, annunciata ai tg il 9 febbraio scorso, accompagnata da dichiarazioni roboanti, che per essere realmente realizzata deve aspettare un clima propizio e armonia tra alleati, due fattori che da mesi scarseggiano. Così il disegno di legge in questione, che modifica gli articoli 41, 97 e 118 della Carta varato in febbraio per semplificare la vita alle imprese, è fermo nella commissione Affari Costituzionali in paziente attesa di una spinta propulsiva che lo diriga verso i lavori dell’aula.

E che fine ha fatto la legge Carfagna, approvata dal Consiglio dei ministri prima dei ballottaggi il 19 maggio, per le pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive dei Consigli comunali, provinciali e delle amministrazioni pubbliche? Nell’elenco degli atti parlamentari di Camera e Senato rientra tra le non pervenute, nel senso che ancora non è stata neanche assegnata ad alcuna commissione. E’ arrivata invece in commissione, e lì si è però arenata, la riforma costituzionale della Giustizia, varata all’unanimità il 10 marzo su input di Berlusconi e con la firma di Angelino Alfano. Assegnata col nome di Riforma del titolo IV della parte II della Costituzione, è quella con la separazione delle carriere e il doppio Csm: ferma da settimane nelle due commissioni di merito dove sono in corso audizioni a ripetizione di giuristi e alti magistrati, a detta degli stessi dirigenti Pdl «può pure arrivare in aula, ma senza accelerare troppo…».

Tra le cose fatte come decreto figurano il federalismo fiscale che dopo il sì delle Camere il Cdm ha definitivamente approvato il 3 marzo con il decreto legislativo proposto da Tremonti, Bossi, Calderoli e Fitto. Sul fronte immigrazione, il 30 marzo, nella Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali, è stato sancito un accordo su misure immediate per gestire l’emergenza. E, in tema sicurezza, il 23 marzo, sono stati stanziati altri 345 milioni, nel triennio, al personale di Forze armate, Carabinieri, Polizia, Finanza e altri Corpi dello Stato.

Solo 5 disegni diventati legge quindi in tre mesi, poche riunioni e poche ore di lavoro. Il governo del fare in realtà non fa. E non fa perché impantanato in beghe politiche che occupano tutto il tempo e che non consentono climi sereni per l’approvazione di nulla. Da qui all’estate poi a tenere banco nel governo ci saranno la manovra economica e la delega della riforma fiscale che già alimentano polemiche a non finire. II Consiglio dei ministri dovrà dare l’ok entro giugno con una tabella di marcia incalzante: dopo il via libera al tormentato decreto sviluppo questa settimana, dopo il giro di boa di Pontida, dopo i due voti di fiducia sulla verifica parlamentare il 21 e 22 giugno, Responsabili permettendo, il giorno dopo la manovra dovrebbe ricevere il timbro del Consiglio dei ministri, magari accompagnata da un anticipo della delega sulla riforma fiscale già annunciata. Nel frattempo le Camere saranno impegnate a dirimere partite in sospeso come la legge comunitaria, che come ogni anno avrebbe dovuto essere approvata entro dicembre per evitare le sanzioni dell’Ue sulle direttive non recepite e che, invece, è ancora ferma al palo in Commissione.

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