Grillo Roma: sindaca nun se tocca e stadio nun se fa. Pallotta: “Scordatevi i soldi dall’estero”

ROMA – Grillo per Roma, da parola d’ordine “sindaca nun se tocca” postato in voluto romanesco sul blog a stadio nun se fa che è la notizia, oltre che la linea. Stadio “nun” se fa detto in maniera obliqua e perfino urticante per chi lo voleva fare e voleva che si facesse. Raccontare come fa Grillo “lo facciamo ma non lì” è una presa in giro. Non lì vuol dire no e basta. Ricominciare tutto da capo, fin dalla individuazione dell’area non è sostenibile per i privati che lo stadio volevano farlo. Volevano guadagnarci certo, come ogni privato che costruisca di suo portafoglio opera di “utilità pubblica”. Se gli dici di ricominciare da capo, tagliare, rinviare, amputare…allora non ci guadagnano più. E mollano. Quello che si appresta a fare Pallotta presidente della Roma calcio. E quel che la coppia Grillo Raggi vogliono Pallotta faccia, mollare appunto. Grillo Raggi hanno costruito un triangolo entro cui lo stadio della Roma a Roma sparisce come in quello delle Bermuda: vincolo della Sovrintendenza sugli edifici (fatiscenti) dell’Ippodromo Tor di Valle, ipotesi di rischio idrogeologico (niente meno che esondazione del Tevere) e rinvio al giorno del mai dell’anno del poi in cui si troverà un’altra area.

Pallotta ha capito l’antifona e ha fatto sapere dagli Usa: “Venerdì incontro e risultato positivo, altrimenti catastrofe”. Come a dire, ultimo incontro, non ci facciamo prendere in giro. E dicendo “catastrofe” Pallotta non si riferiva solo alla Roma calcio (senza stadio futuro grigio per i tifosi). E neanche solo alla città di Roma. Ha voluto precisare: “catastrofe per gli investimento dall’estero”. Cioè se non fate fare lo stadio, all’estero capiscono che musica si suona in Italia e in particolare a Roma e quindi scordatevi i soldi dall’estero.

Sì, no, forse, magari da un’altra parte e, con ogni probabilità, di nuovo e definitivamente no. La mini storia della linea stile montagne russe della giunta 5Stelle che guida la Capitale sul progetto del nuovo stadio della Roma è sintetizzabile più o meno così. Un’incertezza e una vicenda che hanno conquistato le cronache e le prime pagine fin quando si è trattato di raccontare le divisioni velenose all’interno del movimento di Beppe Grillo, ma ora che si avvia verso la conclusione, nessuno sembra interessarsi alle conseguenze. O almeno non nelle loro reali proporzioni. “Sarebbe una catastrofe”, ha detto il presidente della Roma James Pallotta. Ma non intendeva una catastrofe sportiva, e in molti sembrano non non volerlo capire.

Il dado, per dirla parafrasando Giulio Cesare, ancora non è tratto. Il Campidoglio ha fatto slittare ieri, all’ultimo momento, l’incontro in cui avrebbe praticamente dovuto dare il via libera definitivo allo stadio giallorosso. Le parti torneranno, o dovrebbero tornare ad incontrarsi venerdì ma, anche se ci dovessero essere nuovi slittamenti, c’è la data del 3 marzo imposta dalla conferenza dei servizi come giorno ultimo per chiudere, in un senso o nell’altro, la questione. Nonostante non ci sia però la risposta definitiva, il barometro che misura l’umore della giunta grillina è tornato ora, dopo davvero molte oscillazioni, che hanno portato tra l’altro alle dimissioni dell’assessore all’urbanistica Berdini, a puntare decisamente verso il parere negativo. Le motivazioni del ‘no’ sarebbero legate al parere delle sovrintendenza ai beni culturali che ha indicato l’abbandonata e pericolante gradinata del vecchio ippodromo di Tor di Valle come bene da tutelare e al rischio idrogeologico in una zona limitrofa che, stando alle carte, il progetto della Roma sanerebbe. La sindaca una posizione chiara non l’ha espressa. E’ stato Beppe Grillo ieri sera, sceso apposta a Roma, a dire che il movimento non ha nulla contro lo stadio: “nessuno è contrario, se c’è una discussione è sulla collocazione, sulla zona… Lì c’è un rischio idrogeologico, dunque c’è una discussione su dove farlo”.

Una dichiarazione che ha avuto, per la dirigenza giallorossa e non solo, il sapore della presa in giro. E tanto chiara quanto dura è stata la risposta del presidente Pallotta che ha twittato: “Ci aspettiamo un esito decisamente positivo dall’incontro in programma venerdì. In caso contrario sarebbe una catastrofe per il futuro della Roma, del calcio italiano, della città di Roma e francamente per i futuri investimenti in Italia”.

Una risposta che a differenza delle spaccature del movimento è finita tra le notizie sportive. Ma Pallotta non è, o non è solo il presidente della Associazione Sportiva Roma: Pallotta è uno stimato uomo d’affari americano. Uno che, da quando è a Roma, ha portato a Totti e compagni contratti con marchi come Nike, Disney e Volkswagen tanto per citarne alcuni e per dare la misura dell’uomo d’affari internazionale e delle relazioni che ha James Pallotta.

Senza stadio sarebbe evidente la ‘catastrofe’ sportiva del club Roma che rimanderebbe a chissà quando la sua crescita al livello dei migliori club europei. E catastrofe sarebbe evidentemente anche per il calcio italiano che, a fatica, riesce oggi a presentare un solo club competitivo in Europa: la Juventus. Come evidente sarebbe la catastrofe per Roma città che rinuncerebbe ad un investimento di quasi 2 miliardi di euro in una zona che oggi è una periferia degradata, per non dire un’area abbandonata e trasformata in discarica, tutto a carico dei privati.

Ma, e questo sembra essere meno evidente, sarebbe una catastrofe anche per gli investimenti in Italia in generale. Che il nostro Paese non sia esattamente una calamità per gli investimenti stranieri non è certo una novità. Come non è una novità che una buona fetta di colpa ce l’abbia la nostra lenta e cavillosa burocrazia. A questa reputazione non farebbe certo bene un ‘no’ ad un progetto avviato da anni, quasi in fase esecutiva, che ha rispettato i mille vincoli presentati e apportato tutte le modifiche richieste. Di certo Pallotta non consiglierebbe ad amici e soci di investire nel nostro Paese, e altrettanto certamente è facile immaginare come un precedente simile invoglierebbe chi che sia ad investire qui invece che in Spagna o Francia.

Questo è un punto che evidentemente ha poco o nulla a che fare con lo stadio in sé. Non si decide infatti la fattibilità di un progetto in base alla buona o cattiva pubblicità. Ma visto che la decisione sul sì o no sarà alla fine una decisione politica, sarebbe bene tenere conto delle conseguenze delle proprie azioni, perché questa, come gli investimenti, sono politica.

Gestione cookie