ROMA, 9 DIC – Nel bel mezzo della polemica sulle esenzioni Ici concesse alla Chiesa è il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, a entrare direttamente sulla questione, chiedendo di ”fare chiarezza” se ci sono punti controversi, ma difendendo l’impianto della norma. ”Se ci sono punti della legge da rivedere o discutere, non ci sono pregiudiziali da parte nostra”. Fermo restando che ”in linea di principio, la normativa vigente è giusta, perché riconosce il valore sociale delle attività svolte da una pluralità di enti no profit e, fra questi, gli enti ecclesiastici”. Ma ”se vi sono casi concreti in cui un tributo dovuto non è stato pagato, è giusto che l’abuso sia accertato e abbia fine”.
Un tema sfiorato anche dal presidente del Consiglio Monti da Bruxelles: ”In 17 giorni non abbiamo preso alcuna decisione”. Con una postilla: ”Sono a conoscenza di una procedura di aiuti di Stato”. Un riferimento all’indagine dell’Unione europea aperta nei mesi scorsi.
Il dibattito intanto continua, con appelli a versare l’imposta che arrivano, trasversali, dal mondo politico e gli organi di informazione della Cei in posizione difensiva. ”La Chiesa cattolica paga quello che c’è da pagare e non gode di nessun privilegio”, recita una nota diffusa dal Sir, l’agenzia dei vescovi.
Ma sono in molti a dire: anche la Chiesa faccia la sua parte. A queste voci si sono aggiunte quelle di Ignazio Marino, Pd (”sono convinto che siano ore di riflessione intensa e penso che la Chiesa proporrà di pagare una tassa sulle attività commerciali”), di Felice Belisario, Idv (”si passi dalle parole ai fatti”), del socialista Bobo Craxi che chiede allo ”stato Pontificio” di fare ”un gesto volontario” per ”contribuire alla riduzione del debito”; del portavoce Pdl Daniele Capezzone, che parla a titolo personale, visto che Berlusconi ha lasciato libertà di coscienza su questo punto.
Nel Pdl c’è chi come Maurizio Lupi o Renato Farina che è contrario a tassare gli immobili della Chiesa e chi ha un’altra opinione, come i quattro deputati che hanno presentato due emendamenti alla manovra per far pagare l’imposta anche a parrocchie, oratori ed edifici di culto.
Ma l’ipotesi di intervenire in manovra su questa materia non è affatto cosa di poco conto. Fonti vicine alla Cei e al governo, confermano che un dossier è aperto. Lo stesso ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, starebbe conducendo alcuni sondaggi con esperti del settore per capire qual è il reale margine di intervento.
E un margine c’è senz’altro anche se difficilmente rappresenta una via immediata per far cassa e coprire parte del deficit. E qui entrano in campo i numeri, che sono troppi e incerti. Le cifre del mancato introito del gettito potenziale vanno dai 500-700 milioni stimati dall’Anci ai 2,2 miliardi stimati dall’Ares, l’Associazione ricerca e sviluppo sociale. Si parla comunque di un vasto numero di immobili su cui sarebbe necessaria una seria ricognizione, in particolare su quelli adibiti a uso commerciale.
C’è poi il testo di una legge che secondo molti si presta ad ambiguità. E c’è l’ampia rosa di strutture che svolgono attività sociale – dalle mense per i poveri ai servizi d’accoglienza – spesso supplendo lo Stato, che si trova quindi alleggerito di un costo. La Chiesa non è la sola a godere di esenzioni. La lista è lunga, ricorda Avvenire, che cita i circoli culturali, i sindacati, gli enti di volontariato laici. Alcune stime indicano che tra tutti gli immobili esenti Ici, alla Chiesa fa capo il 4%. Non tutto, tra l’altro, e’sotto il cappello Cei: basti pensare ai beni delle congregazioni religiose, che godono di autonomia giuridica.