Una partita di calcio, la più seguita: Inter-Milan. E lo stesso gioco del calcio. Un dramma della cronaca, il più recente: le case e i morti di Favara. Un eterno problema irrisolto: quello dello smog e del traffico nelle grandi città. E l’ultimo caso politico: le dimissioni del sindaco di Bologna. Come sono, come ce li raccontano, come diventano dopo la narrazione. Tre cose che non coincidono, anzi tutt’altro.
Domenica sera, stadio Meazza di Milano, schermo di Sky, narratore Fabio Caressa. Un giocatore dell’Inter, Snejider, prima si rivolge all’arbitro Rocchi con internazionale e inequivocabile “fuck off”, cioè “vaffa” in italiano ma non c’è bisogno di traduzione. Poi applaude in segno di scherno l’arbitro per 15/20 secondi filati, il tempo perché tutto lo stadio lo veda e si ecciti.
L’arbitro lo espelle. Caressa narra: «Sì, certo, il regolamento parla chiaro, non si manda a quel paese l’arbitro, non lo si offende in maniera provocatoria e plateale, ma questa è una partita importante…». Nella narrazione scompare l’accaduto che si rovescia nel suo contrario: il giocatore viene esentato dal principio di responsabilità, l’arbitro viene chiamato a far altro dal far rispettare il regolamento. Nella realtà è accaduta una violazione delle regole, nella narrazione le regole sono altre, prima tra tutte quella della partita “importante”.
E’ lo stesso argomento per cui un capo di governo che fa cose “importanti” può, anzi deve essere esentato dal rispetto e dal fastidio di rispettare le regole. L’arruffacronaca calcistica non lo sa ma sta narrando una storia che è diversa da quella che ha guardato, diventa la storia del giocatore importante cui è stato negato di giocare intero il derby.
Martedì sera ore 19 e qualche minuto, schermo del Tg3. La conduttrice Maria Cuffaro narra di un’Italia dolente e furente contro la speculazione e l’incuria edilizia, insomma Favara dove anche i preti denunciano. Quindi annuncia servizio su una manifestazione da Ischia, impaginato e presentato come un’altra prova della disperata stanchezza della gente “per bene” contro costruttori e amministratori “per male”.
Parte il servizio e si vedono e si sentono circa tremila abitanti dell’isola in piazza sì, ma per opporsi alla demolizione delle case abusive, per gridare: «Guai a chi le tocca». Fine del servizio, la Cuffaro non fa una piega né spiega: nella narrazione del Tg3 non c’è posto, non si contempla, non esiste la “gente per male”. È accaduto che una cittadinanza si sia schierata a difesa della “roba illegale”, è stato narrato siano «vittime dell’assenza di un piano regolatore».
Stessa sera, altro schermo: il Tg1 narra dello smog a Milano e in altre grandi città. Quel che succede è che troppo spesso si sforano i limiti di inquinamento. Quel che viene narrato è che tutti i cittadini di Milano, Napoli, Roma e altre città invochino blocchi del traffico, insomma giornate senza automobili che gli amministratori locali si ostinano a non proclamare. Nella narrazione c’è tutto un popolo che grida: «Fate qualcosa». Nella realtà se si fa quel “qualcosa”, quello stesso popolo ti leva la pelle. Ma la narrazione non è contraddittoria, è misticamente coerente. Infatti narra e diffonde la parabola e la buona novella del miracolo, quello che la gente vuole, quello in cui la gente crede: niente smog e polveri sottili e in auto per andare al lavoro, a scuola, a fare shopping.
Mercoledì mattina, quotidiano La Repubblica, firma Gad Lerner. Testo: «Per la prima volta il comportamento del maschio di potere viene sottoposto in pubblico a una critica femminile puntuale, tutt’altro che moralistica… si avvia una modifica del costume nazionale gravida di conseguenze future che solo in parte riusciamo ad intuire… la questione della dignità femminile in Italia, sottovalutata e irrisa, assume un peso sempre maggiore…».
Nella realtà è accaduto che Cinzia Cracchi, fidanzata del sindaco Delbono, si è fatta portare per anni dal fidanzato in viaggi insieme di lavoro e di compagnia, di Delbono era anche la segretaria. Nella realtà è accaduto che la signora abbia attinto per lungo tempo piccole somme da una tessera bancomat di cui era stata fornita dal compagno. Nella realtà è accaduto che la relazione si sia interrotta, che la Cracchi sia stata messa ad altro posto di lavoro, un centralino, e non abbia gradito.
Men che mai ha gradito il ritiro della tessera bancomat: «Ho capito che era finita quando me l’ha disattivato» (La Repubblica, la pagina accanto). Nella realtà c’è una storia privata mal finita, una rabbia e rivalsa femminile per una condizione perduta. Nella realtà c’è un comprensibile ma non certo nobile dispetto. Nella narrazione fattasi epica c’è quello che nella realtà non c’è: niente meno che la “dignità femminile” che si fa «rivoluzione di costume contro il potere maschile».
Come sono, come li raccontano e come quindi diventano i fatti sono cose che non coincidono. Ma non c’è in questa notazione oggettiva né critica né predica verso i giornalisti. Fanno in buona, anzi ottima fede. Anche se non sanno di preciso quello che fanno, il che non è solo condizione operativa diffusa, è anche e soprattutto richiesto requisito professionale.
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