ROMA – Il decreto sviluppo si può rimandare, le intercettazioni no. Sembra questo il mantra che sta seguendo il governo. Che infatti ha rinviato l’approvazione del decreto sviluppo al 20 ottobre, mentre si appresta a mettere la fiducia sul ddl intercettazioni. Come a dire: quei tagli strutturali e lineari che ci ha chiesto la Bce nella lettera “segreta” e che continua a chiederci ogni giorno per bocca di Trichet, quegli stessi tagli che Angela Merkel ci ha invitati a fare il più in fretta possibile per riconquistare la fiducia dei mercati, possono aspettare. Meglio puntare tutto e subito sul decreto che impone il carcere ai giornalisti “birbantelli” che pubblicano le intercettazioni “irrilevanti”.
E meno male che appena due giorni fa Silvio Berlusconi scriveva in una nota: “Non mi sto interessando della legge elettorale. Quello che mi sta a cuore in questo momento è continuare a lavorare per portare l’ Italia al riparo dall’ attacco al nostro debito pubblico, e fuori dalla crisi finanziaria globale”. E per farlo, serve “un nuovo decreto legge, con misure concrete ed efficaci che ridiano fiducia ai cittadini, alle famiglie e alle imprese”, e che verrà varato “entro metà ottobre, come ci siamo impegnati a fare”. Il 20 ottobre, calendario alla mano, è oltre la metà del mese. Nel giro di due giorni il presidente del Consiglio ne ha guadagnati almeno cinque.
D’altronde, viste le sue ultime mosse, sembra aver momentaneamente accantonato la situazione drammatica dell’Italia, anche dopo il downgrade. Berlusconi, oltre a proporre “Forza Gnocca” come nuovo nome del Pdl, è stato avvistato e fotografato alla Camera mentre raccontava barzellette a un capannello di deputati.
Ma a guardar bene e con gli occhi di Berlusconi, dal suo punto di vista c’è unalogica nel preferire subito l’approvazione del ddl intercettazioni a quella del decreto sviluppo. L’indizio ce lo dà Ignazio La Russa che uscendo da palazzo Grazioli, dove si è deciso di ritardare al 20 ottobre l’approvazione dei tagli, si dice preoccupato: “I tagli, al momento, sono lineari e c’è preoccupazione ma c’è anche la consapevolezza dell’ineluttabilità dei sacrifici che bisogna fare”. Ed ecco il punto: sul decreto sviluppo si producono le fratture più ampie all’interno della maggioranza. E quel decreto, si pensa in ambienti berlusconiani, potrebbe anche segnare la fine della legislatura. Perché è vero che le riduzioni di spesa sono previste nella manovra finanziaria imposta dall’ Europa per il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013, ma nel governo non ci si riesce a mettere d’accordo su come distribuire i tagli.
Berlusconi ha parlato a lungo con i ministri interessati dai contenuti del decreto e avrebbe ha tratto un quadro sconfortante. Da Matteoli a Romani, sono molti i ministri a lamentarsi e a chiedere: come facciamo a rilanciare lo sviluppo se non ci sono soldi? Come affrontiamo i tagli che Tremonti ci ha imposto, quei sette miliardi che devono essere dragati dalle riforme di ministeri già ridotti all’ osso? Ed ecco che arriviamo a Tremonti. Decisivo sarà proprio l’ atteggiamento che terrà il ministro dell’ Economia. Se si “metterà di traverso”, per il governo si fa davvero dura. E c’è da scommettere che il suo atteggiamento dipenderà molto da come andrà a finire la partita sul successore di Mario Draghi a Bankitalia.